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La Germania e il 2018. Un vero annus horribilis

Un 2018 letteralmente da dimenticare per la Germania e per il suo allenatore Joachim Löw. Un’annata da archiviare al più presto ma da cui prendere spunto per non commettere gli stessi errori commessi. Eppure la preparazione all’anno del Mondiale era sembrata essere perfetta, un 2017 pieno di successi nel cammino di avvicinamento alla rassegna russa, il dominio nel girone di qualificazione (seppur decisamente morbido e agevole) e l’affermazione per la prima volta nella sua storia in Confederations Cup.

Poi ai tedeschi si è spenta la luce, in un misto di arroganza tipica teutonica e qualcosa che non ha funzionato nello spogliatoio, un Mondiale brutto e anonimo per loro, in cui non sono riusciti a lasciare il segno da campioni in carica, l’eliminazione al girone eliminatorio contro Svezia, Messico e Corea del Sud ha fatto emergere diverse criticità nascoste fino ad allora. Una squadra apparsa senza mordente e senza una precisa identità di gioco.

Ed è proprio per questo che il tecnico di Schönau è finito nel mirino di tifosi e stampa, un eroe che ha guidato la Germania alla conquista della quarta stella in Brasile, spazzando via le avversarie, ma che poi è andato in evidente confusione, tra assenze e rimescolamento della rosa a sua disposizione. La Nations League appena conclusa ha ulteriormente evidenziato le difficoltà di questa nazionale, in un girone stavolta di ferro con Olanda e Francia. Zero vittorie, due pareggi e altrettante sconfitte, retrocessione arrivata con una gara di anticipo. Ma più che i risultati in sé ciò che desta preoccupazione è il modo in cui sono arrivati, una squadra svuotata, senza mordente e povera di carattere, quella che è invece stata la caratteristica migliore della gestione Löw fino all’anno scorso. Tutta la crisi della Germania si può riassumere con l’andamento della gara di Gelsenkirchen, contro l’Olanda, l’ultima giocata: da già retrocessa era la partita dell’orgoglio, quella che doveva cacciare via gli spettri di una crisi già evidente. In vantaggio per 2-0, con la concreta possibilità di condannare gli avversari sul campo al secondo posto, i tedeschi si sciolgono come neve al sole negli ultimi cinque minuti di partita, gli olandesi recuperano fino al 2-2 e si qualificano alla Final Four festeggiando davanti a 40 mila tifosi teutonici.

Così non va, così non può andare. La posizione di Löw adesso è in bilico, dovrà dimostrare di essere in grado di risalire la china, di riuscire ancora a dare lustro alla Germania del calcio. Sono poche le soddisfazioni avute, e solo in gare amichevoli, quelle che contano poco per le competizioni e l’alzare al cielo trofei. Ma soprattutto a Löw verrà chiesto che idee tattiche abbia, le nazionali già hanno difficoltà nell’allenarsi insieme, se poi a ogni partita viene cambiato assetto di gioco ne viene fuori solo confusione e poca fluidità da cui ne consegue la bassa consapevolezza nei propri mezzi. Nelle gare amichevoli schierata quasi sempre la difesa a quattro, poi nelle partite che contano quella a tre; in alcune partite il tridente offensivo, in altre i cinque a centrocampo. Insomma se già il momento non sia facile, la confusione delle idee del tecnico non facilità un percorso di miglioramento chiaro e deciso. Certo, fa un certo effetto descrivere la nazionale tedesca, quella guidata da Löw, con gli aggettivi di cui sopra. Imputare a questa Germania di non essere chiara, decisa, di essere confusa e poco consapevole sembra avere i tratti di una burla, ma a fine 2018 non ci sono altri modi per descrivere un vero e proprio annus horribilis.