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Giorgetti contro Malagò, la riforma della discordia e “l’odore dello spogliatoio”

Governo contro CONI, il Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri Giorgetti contro il Presidente del Comitato Olimpico Malagò, a sua volta sostenuto da Federazioni e altri personaggi di spicco dello sport italiano. Al centro, il pomo della discordia rappresentato da un passaggio della Legge di Bilancio che mette in previsione una vera e propria rivoluzione nella gestione del CONI e dei fondi pubblici annuali destinati alle attività sportive: assegnare il compito della distribuzione dei soldi nelle casse delle federazioni a una partecipata creata ex novo, la “Sport e Salute spa”, con i propri vertici nominati direttamente dal sottosegretario alla Presidenza del Consiglio. Lasciando il Presidente del CONI con un ruolo marginale di gestione di circa 40 milioni di euro da destinare alla preparazione olimpica e di alto livello. Poca roba rispetto al grande e indipendente potere gestito da Malagò nel nostro mondo sportivo.

I toni accesi del dibattito a distanza davanti alle telecamere tra i protagonisti della vicenda fanno ormai intendere a chiunque il peso di questo scontro più politico che di contenuti. E basta dare un’occhiata ai conti e alle cifre in ballo per capire perché: i fondi in questo ambito ammontano a circa 410 milioni di euro, destinati anche ad aumentare a 420 o 430 con la manovra, visto che lo Stato rinuncerà al 32 per cento dei proventi fiscali dallo sport. Motivo per cui, da parte del Governo, è evidente l’intenzione di assumere le redini del sistema e di porre un limite piuttosto imponente al CONI, privilegiando una gestione, a detta dello stesso Giorgetti, più “imprenditoriale” per combattere privilegi e sprechi interni a quel mondo; da parte di Malagò, resta aperta appena una finestra per discutere sui futuri cambiamenti nell’amministrazione, ma con la ferma volontà di non fare un passo indietro sul proprio ruolo per non rischiare un’inaccettabile intromissione del potere centrale nella gestione dello sport. E alle accuse rivolte al CONI di essersi ritrovato per anni a galleggiare in acque “democristiane”, Malagò ha risposto ricordando che “nemmeno il governo fascista aveva fatto questo al CONI”.

Difficile, forse impossibile, fissare la verità solo da una parte. Giorgetti, voce del suo governo, ha ragione nel sottolineare che negli ultimi tempi i poteri in mano al Presidente del Comitato sono stati tanti, troppi. Spesso con risultati disastrosi e per trovarne un esempio non bisogna andare nemmeno troppo indietro con la memoria: la gestione del commissariamento della FIGC con Fabbricini era la grande sfida di Malagò in quel mondo oscuro e in mano ai soliti noti che è il calcio. Il “governo tecnico” era stata l’unica soluzione per superare l’impasse nata dopo la mancata nomina di un Presidente tramite elezioni, ma i danni causati superano di gran lunga il numero di situazioni a cui è stato posto rimedio. Un fallimento che, ora, rischia di pesare tanto sulla posizione del Presidente del Comitato Olimpico nel braccio di ferro con il governo, che a questi sconfinamenti di potere vorrebbe mettere una croce sopra.

D’altro canto, però, lascia non poche perplessità la scelta di affidare buona parte del controllo nelle mani di una partecipata, con uomini di palazzo scelti dal governo stesso per la gestione dello sport. La paura di una longa manus governativa in un mondo così delicato è evidente, soprattutto se proveniente da personaggi che con lo sport nulla hanno a che fare: dichiararsi uomini di sport non significa necessariamente essere o essere stati degli sportivi. Lo sanno in primis proprio i rappresentanti di questo ambiente, da sempre sostenitori delle politiche di Malagò (che, piaccia o non piaccia, gode del sostegno complessivo di tutte le federazioni), dalla Pellegrini a Lupo, fino a Zanardi che, nel frastuono complessivo, ha avuto la lucidità per affermare una verità sacrosanta: per governare il mondo dello sport devi “conoscere l’odore dello spogliatoio”.

Solo chi ha vissuto per tutta una parte della propria vita in mezzo a un campo, a una palestra, a una pista può conoscere certe sfumature che contraddistinguono lo sport. C’è, appunto, un odore che sugli spalti non arriva, con dei segreti e delle leggi non scritte che restano all’interno di un preciso confine. Malagò, ex giocatore di calcio a 5 a ottimi livelli prima di trovare il successo come imprenditore, ha conosciuto quel sapore ed è forse anche questa la marcia in più che gli ha permesso di avere questo rapporto stretto con gli uomini di sport. E viene da chiedersi se le eventuali scelte del sottosegretario saranno in grado di rispecchiare questa sensibilità così necessaria non solo per governare il mondo dello sport, mantenendo intatta la sua indipendenza, ma anche e soprattutto per capirlo fino in fondo. Un qualcosa in più che può trasformarsi nella solida base su cui costruire anni di successi in tutto il mondo.

Bisognerà attendere la fine di questo periodo di scontri e caccia alle streghe per sedersi a un tavolo e parlare seriamente. Una riforma è senz’altro necessaria, perché lo sport italiano, soprattutto nei bassifondi e tra i dilettanti, è a livelli preoccupanti, ma la soluzione non emergerà né da una rivoluzione totale del sistema né dalla sua immobile preservazione. Bisogna discutere faccia a faccia e non più davanti alle telecamere. In questa situazione, è la credibilità del nostro sport a farne le spese. E il tempismo scelto per far emergere queste polemiche rischia già di creare un danno a breve termine: venerdì, Malagò sarà a Tokyo assieme ai governatori Zaia e Fontana per la candidatura alle Olimpiadi invernali 2026. E questa sfida politica potrebbe non essere affatto vista di buon occhio dal resto del mondo, rischiando di rendere vani gli sforzi fatti per aggiudicarsi la competizione.