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“Tutti possiamo essere Riccardo: serve un cambiamento, non si può più arbitrare con la paura”

Lo sguardo smarrito rivolto verso il massaggiatore che lo ha appena soccorso salvandogli la vita dopo essere svenuto, la fasciatura in testa per contenere la ferita e, lì vicino, una chiazza di sangue sull’asfalto: il sangue di un ragazzo di 24 anni versato per aver sbattuto la testa sul cemento dopo aver ricevuto un violento schiaffo da un “tifoso”. La foto di Riccardo Bernardini della sezione di Ciampino, l’arbitro aggredito domenica scorsa al termine di una gara di Promozione laziale tra Virtus Olympia Roma e Atletico Torrenova, ha fatto il giro d’Italia in poche ore, creando sdegno, rabbia, vergogna nel mondo del calcio. L’ennesima aggressione subita da un direttore di gara sui campi di provincia (l’ottava soltanto nella regione Lazio da inizio stagione) stavolta ha rischiato di trasformarsi in una tragedia senza precedenti, del tutto inconcepibile anche per le sue motivazioni: una partita di calcio e la colpa di vestire la casacca del “nemico”, l’arbitro.

Riccardo fortunatamente sta bene, ma la sua vicenda ora ha scosso le acque del nostro calcio. La madre si è appellata alle istituzioni per far sì che l’esperienza del figlio non accada a nessun altro, il presidente dell’AIA Nicchi ha risposto proclamando uno sciopero in tutte le categorie dilettantistiche nel Lazio nel prossimo fine settimana, mentre il Ministro degli Interni Salvini si è presentato oggi in conferenza stampa per promettere una modifica della Giustizia Sportiva e garantire il suo impegno per abbassare il numero di aggressioni che avvengono sui nostri campi tutte le settimane. Inasprimento delle pene: è stata questa la frase maggiormente pronunciata in queste tristi giornate da parte degli esponenti delle istituzioni. Forse non sarà sufficiente: assieme alle punizioni non può non essere accompagnato un lavoro ben più profondo, più culturale, per superare questa piaga del nostro calcio.

Da qualche parte, però, bisogna pur partire e la speranza è che il ricordo di Riccardo e delle promesse decise di queste ore non finiscano per svanire lentamente come accaduto in passato, fino a cancellarsi tra qualche mese. Le attuali multe, spesso da poche centinaia di euro, e le squalifiche (magari di qualche anno) non stanno avendo l’effetto deterrente che si sperava e sospendere i campionati per sciopero è una scelta forte, ma destinata ad avere efficacia limitata a lungo termine. La riforma della Giustizia Sportiva, per troppi anni rimasta ferma sui tavoli, ora deve essere realizzata e anche in tempi brevi. I campionati continuano e il rischio di nuove tragedie è nell’aria ogni fine settimana: un nuovo caso come quello accaduto domenica non può più essere accettato.

Un’aggressione che sta facendo riflettere tutti, ma soprattutto chi ancora solca ogni week-end i campi per dirigere gare dai giovanissimi in su e chi, invece, ha vissuto questa esperienza per tanti anni, condividendo le gioie e le paure di ogni arbitro. L’immagine di Riccardo a terra sembra aver lasciato il segno anche negli occhi di G. (nome di fantasia per mantenere l’anonimato), per tanti anni arbitro sui campi provinciali e regionali sul suo territorio, ma che non sembra aver dimenticato le emozioni vissute quando era lui ad avere 24 anni.

“Quello che è successo a questo ragazzo mi ha lasciato con un misto di rabbia e paura. Le aggressioni agli arbitri sono diventati una pericolosa normalità, basta vedere i comunicati dei Giudici Sportivi di qualsiasi città e Regione. Sono passati diversi anni dalla fine della mia carriera da arbitro, ma non riesco a smettere di seguire da vicino le vicende che accadono sui campi della mia zona. La questione, però, è che stavolta si è andati davvero vicini a una tragedia e poco importa che a commettere questo gesto vergognoso siano stati tifosi e non tesserati, come ho letto da diverse parti. A livello provinciale e regionale, il mondo del calcio è marcio già da tempo, è diventato qualcosa che non c’entra niente con lo sport. Sono molto vicino a Riccardo e alla sua famiglia, solo chi ha vissuto in prima persona questa esperienza può provare a capire la paura di quel momento, ma anche la sua voglia di tornare al più presto in campo.”

“A questo punto, mi aspetto una forte risposta da parte delle istituzioni. Un inasprimento delle pene è necessario, perché quelle attuali non sono evidentemente adatte, ma non è sufficiente secondo me: oltre al “bastone” e alla punizione, servono progetti a lungo termine, che cambino la mentalità di giocatori, dirigenti e tifosi. Non si deve salvaguardare un arbitro solo per la paura delle multe o delle squalifiche, ma perché è un atto dovuto di sportività e di rispetto. Le persone si dimenticano che lì in mezzo al campo ci potrebbero essere i propri figli, o un fratello/sorella. E invece finiscono quasi per fingere che l’arbitro non sia una persona qualsiasi, si lasciano andare a gesti dettati da una rabbia a volte incontrollabile e non giustificabile per delle decisioni prese sul campo, salvo poi, ogni tanto, ritirare tutto e pentendosi quando cala l’adrenalina. Il danno, però, ormai è fatto e per dei ragazzi spesso giovanissimi può essere un momento di grande stress. Io sinceramente non ci vedo niente di sano in tutto ciò.”

“Ho letto le parole della madre. Mi sembra di rivedere la mia che mi accompagnava alla porta prima di uscire con il borsone: ricordo il suo sguardo preoccupato, il suo insistente chiedermi chi me lo facesse fare. Io amavo arbitrare, così come Riccardo e tutti gli arbitri che ogni settimana scendono in campo pur sapendo cosa gli attenderà, ed è rimasta la mia passione per tanto tempo. Nonostante le giornate storte, quelle in cui torni a casa impaurito e deluso, magari dopo aver ricevuto insulti e minacce per tutta la partita  Ecco, il mio grande sogno è che un giorno questi ragazzi siano liberi di scendere in campo, senza questo peso sulle spalle dato dalla paura. Il calcio deve tornare a essere un momento di divertimento per tutti, arbitri compresi: altrimenti, mi chiedo, in quanti saranno disposti a provare questa meravigliosa attività in futuro, senza la garanzia di un’adeguata tutela?”.