Lo Stadio Artemio Franchi ha emesso il suo verdetto: l’Italia del rugby è (ancora) superiore alla Georgia, qualora ce ne fosse il dubbio. E il dubbio c’era eccome: i georgiani si erano approcciati alla partita forti una posizione superiore alla nostra nel ranking internazionale, hanno dimostrato negli anni di essere la migliore squadra europea extra 6 Nazioni, hanno giocatori che militano nei campionati d’elite e nelle coppe continentali.
Eppure, nonostante questo e nonostante i balbettii di un’ItalRugby reduce da 3 “cucchiai di legno” consecutivi e in difficoltà negli ultimi anni contro qualsiasi avversario di tier 1, il prato verde che solitamente ospita le gesta della Fiorentina di Stefano Pioli ha respinto l’assalto della nazionale di rugby a 15 della Georgia, la cui peggiore sconfitta risale al 2003 (84-6 dall’Inghilterra a Perth) ed è certamente più vicina al top di quanto non fosse 15 anni fa. Mantenendo sempre il controllo del punteggio e per lunghissimi tratti quello del gioco, l’Italia ha reagito dopo il pesante 54–7 rimediato a Chicago sabato 3 novembre contro l’Irlanda, legittimando per ora la sua posizione nel 6 Nazioni. Se non per merito proprio (13 ultimi posti su 19 partecipazioni, non un record invidiabile), per demerito altrui, di una Georgia gagliarda, ben messa in campo, potente ma ancora tecnicamente indietro rispetto allo standard richiesto.
Per passare il turno dalla pool di Coppa del Mondo (20 settembre-2 novembre 2019 in Giappone), i georgiani dovranno battere almeno una nazionale top, due se consideriamo tale anche Fiji. Avere la meglio su Galles o Australia è attualmente imprese più improbabile che difficile e questo test fiorentino serviva anche a questo. Dal limbo di essere troppo forti per il 6 Nazioni B (vinto 10 volte dal 2001 in poi) ma ancora acerbi per il torneo più antico del mondo i Lelos vogliono uscire e sfide come questa possono essere funzionali allo scopo.
L’Italia, ferita e forse anche stanca dal viaggio di ritorno dall’Illinois, ci teneva a non farsi trovare impreparata. I mal di pancia di Georgia, Romania, Russia, Spagna e compagnia bella quando ha accumulato sconfitta dopo sconfitta nel 6 Nazioni l’hanno punta, colta nell’orgoglio, sbattendole in faccia domande esistenziali: meritava di essere lì, o fa ancora parte del torneo solo perché una gita a Roma – agli occhi di un turista/tifoso britannico, irlandese o francese – conserva più fascino di una Tbilisi? Al test il XV di Conor O’Shea si era avvicinato col massimo della prudenza: tanto da perdere, poco da guadagnare.
Intanto, discreta la risposta del pubblico. Senz’altro in grado di riconoscere che la Georgia non è l’Inghilterra né gli All Blacks, ma è avversario di livello e di tutto rispetto: i 18 mila del Franchi sono un numero pari agli abbonati della Fiorentina e farebbero gola, come cifra, a tante squadre di calcio di Serie A, non sono molto distanti dai 21 mila che nel 2016 avevano assistito all’impresa azzurra sul Sudafrica, in linea col dato registrato nella medesima città un anno fa contro l’Argentina, che di tier 1 è ormai da tempo e quest’anno per poco non batteva la Nuova Zelanda. Il pubblico apprezza e riconosce dunque la qualità anche della Georgia e non può essere (solo) merito delle réclame di Federugby e della sua macchina organizzativa: c’è l’interesse anche per questo tipo di test match, giocare contro squadre del nostro stesso livello non è un disonore o chissà cosa.
Venendo alla cronaca, era il primo incontro tra Italia e Georgia dal lontano 2003. Esordio internazionale per Zurab Dzneladze, davanti a un pubblico pronto alla sfida; molti dei georgiani, come vedremo, giocano il loro rugby di club nel Top 14 francese e sono abituati a spalti pieni, caldi, “urlati”.
Formazioni alla mano, l’Italia schiera Luca Sperandio all’estremo, con Tommaso Benvenuti e Mattia Bellini all’ala rispettivamente destra e sinistra; Michele Campagnaro e Tommaso Castello i centri, forti di esperienza in Premiership inglese, nel Pro 12 e nelle coppe. Tito Tebaldi, esperto classe 1987 ex Ospreys e Harlequins, agisce in mediana come n. 9, affiancandosi a quel Tommaso Allan ormai punto di riferimento dell’intera squadra. Un gruppo di tre quarti difficilmente avvicinabile, come qualità, dai dirimpettai georgiani.
Avanti chiamati a una dura battaglia contro una delle mischie più rispettate nel panorama internazionale. Andrea Lovotti e Simone Ferrari i piloni, capitan Leonardo Ghiraldini il n. 2, Dean Budd, Sebastian Negri, Jake Polledri e Braam Steyn a completare la formazione, col flanker sudafricano di nascita chiamato a fare le veci di Sergio Parisse.
Di Mchedlidze, primo centro dell’Agen (Francia, seconda serie), al quarto d’ora la prima meta della giornata, bravo Campagnaro poco dopo nella replica; marcature entrambe convertite e sfida in equilibrio. Ci pensa Bellini, poco prima dell’intervallo, ad allungare: suo il colpo del 38′ che, unito alle punizioni di Allan, firma il 18-7 del riposo.
Al rientro Ferrari aumenta il gap e a poco serve il calcio di Matiashvili, perché è ancora Italia con la meta di Allan al 56′. Qui come come spesso accade – per ragioni vuoi fisiche, vuoi mentali – gli azzurri spengono un po’ la luce. Chi segue il rugby union è abituato al solito “calo del 60esimo” e neanche questo test ha fatto eccezioni. Bisogna capire cosa fa click, cosa succede, cosa si modifica: non basta la girandola dei cambi a motivare il calo d’intensità, né basta la scarsa profondità di rosa tolti i primi 15-20 giocatori. Com’è come non è, il neozlandese Glen Jackson assegna una (giusta) meta tecnica alla Georgia, che adesso dall’ora di gioco in poi non smette mai di crederci.
Noi, ci disuniamo: tremano le gambe, le giocate escono meno bene del previsto, siamo corti.
Per fortuna è troppo tardi e le mani dei Lelos, che in giugno hanno battuto sì Tonga 15-16 ma mancano ancora di quel killer instinct così importante a questi livelli, ne hanno meno di noi. Paghiamo meno caro di altre volte il cartellino giallo di Benvenuti (10′ di sin bin dal 62′ in poi) e il 28-17 finale ci mette al salvo dal processo mediatico e dalla critiche dell’Europa tutta.
Nonostante la sconfitta, la Georgia ha dimostrato di poter competere con chi le sta immediatamente “sopra” nelle gerarchie internazionali se non nel ranking. Più spesso giocherà gare di questa intensità prima potrà davvero bussare alle porte del 6 Nazioni e ciò che è mancato, a ben vedere, è forse l’abitudine alla velocità e alla cura del dettaglio che questo sport raggiunge quando si sfidano i migliori.
Chiamati adesso alla durissima sfida di Australia e Nuova Zelanda a Padova e Roma rispettivamente, gli azzurri tirano un sospiro di sollievo: l’attesa del 6 Nazioni 2019 sarebbe stata troppo lunga con una sconfitta con la Georgia.
Restano tuttavia le incognite sulle qualità tecniche e sulla tenuta mentale di un gruppo che vivrà tra un anno la Rugby World Cup. Dove giocheranno squadre, tra le varie, alle quali non puoi regalare nulla. Neanche 20′. Firenze, insomma, ha emesso un verdetto importante ma da non sottovalutare: Italia-Georgia è appena iniziata e sarebbe bello, un domani, replicare a campi invertiti.