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Poca qualità tra i calciatori italiani? Sentite Claudio Di Prete

Si tratta di uno dei ritornelli più recitati da parte di chi segue le gesta del calcio italiano. La maggior parte dei cosiddetti addetti ai lavori sostiene che negli ultimi anni si è privilegiato preparare i giovani calciatori italiani principalmente dal punto di visto fisico e della muscolatura, mettendo in secondo piano il lato tecnico. E così sono venuti meno i giocatori dotati di quell’estro, di quella sana follia calcistica, di quei colpi che – come si soleva dire una volta – valgono il prezzo del biglietto. Ed è vero. Provate a rispondere alla domanda: fammi 5 nomi di calciatori italiani che giocano attualmente in Serie A che sono in grado di puntare e saltare l’uomo?. Il primo della lista – in 99 risposte su 100 – sarà Lorenzo Insigne. E poi? Poi andreste in difficoltà oppure azzardereste un Bernardeschi o un Chiesa, ma anche voi non sareste pienamente convinti della risposta, con tutto il rispetto per i calciatori citati. Ecco, già andiamo in crisi nell’arrivare a 3 calciatori, figuriamoci raggiungere quota 5. Inutile girarci attorno, la crisi qualitativa dei calciatori nati e cresciuti in Italia è evidente e la punta dell’iceberg è stata raggiunta lo scorso anno, con la clamorosa mancata qualificazione della Nazionale dalla fase finale dei Mondiali di Russia 2018 dopo il playoff con la Svezia.

Allora, come rimediare? Beh, innanzitutto quando un settore è in crisi, solitamente si ascoltano i consigli di chi ha accumulato più esperienza. Come per esempio Claudio Di Prete. Un nome che ai più giovani probabilmente non dirà nulla, ma che sicuramente ha acceso una lampadina degli appassionati di calcio un po’ più maturi. Classe 1953, Di Prete è stato un attaccante pisano che proprio con la maglia della squadra della sua città ha scritto pagine importanti, con 22 reti in 127 presenze tra il 1976 e il 1980, contribuendo alla promozione in B del 1979. Poi altra Serie B con l‘Arezzo nel 1974-1975 (in totale 51 presenze e 6 reti in cadetteria) e tanta C con Alessandria, Sanremese, Trento, Rondinella, Poggibonsi e Grosseto tra le diverse compagini della sua carriera. Intervistato dalla testata SalernoGranata.it nei giorni scorsi, Di Prete ha spiegato in modo molto chiaro perché, secondo lui, vi è questa crisi tecnica. “Credo che oggi – ha sostenuto  – pensino che con le 2-3 ore di scuola calcio al giorno risolvano tutto. Ma non è così. Noi giocavamo dalla mattina alla sera nelle strade, nei campi parrocchiali, ovunque. E giocando tanto ci si migliorava nella tecnica. Una cosa che si è persa al giorno d’oggi”.

Un pensiero al quale ci associamo volentieri. Attenzione, qui nessuno vuole andare contro le Scuole Calcio che svolgono un ruolo importantissimo e dove lavorano fior fior di professionisti. Il problema è, come sottolinea Di Prete, il tempo. Quando bisogna migliorare in una cosa, l’unica possibilità è ripetere quella cosa più e più volte. E nel calcio, l’unico modo per migliorare tecnicamente è prendere confidenza con il pallone, l’attrezzo, come lo chiamava il compianto Agostino Di Bartolomei, è giocare, giocare a più non posso. Ah, quelle partite con gli zaini a fare da pali che duravano ore e ore, dove la non perfetta geometria del campo da gioco era un trascurabile dettaglio e dove i punteggi facevano invidia alle attuali partite di pallacanestro. Da quelle partite, da quei campi di asfalto che ti regalavano ginocchia sbucciate un’estate sì e l’altra pure, sono venuti fuori tutti i talenti del calcio italiano degli ultimi 50 anni. Sì, i Baggio, i Totti, i Del Piero, i Pirlo, i Nesta, hanno tutti cominciato dai campetti di strada. Tutti. Nessuno escluso. Ecco perché sarebbe davvero importante ascoltare Claudio Di Prete.