Ventura, l’incassatore di critiche. Ma è l’allenatore giusto per la “missione impossibile” del Chievo?
Quando Gian Piero Ventura fu insignito del ruolo di commissario tecnico della Nazionale, le sue prime parole furono “Voglio un’Italia eccitante”. Non una squadra vincente e basta. Una squadra votata al bel gioco, capace di emozionare e conquistare l’esigente platea italica. Sul momento la boutade suscitò naturalmente ilarità e simpatia, perché mai si era sentito un ct usare questi termini per descrivere gli obiettivi che si prefiggeva. Se solo avessimo avuto la sfera di cristallo, però, la cosa ci sarebbe sembrata molto meno divertente. Di lì a due anni avremmo capito il nostro destino, fuori dal Mondiale russo e ben lontani da quel senso di eccitazione e appagamento che l’allenatore ligure prometteva.
Ventura è finito sul banco degli imputati, unico colpevole (o quasi) di una catastrofe temuta ma mai veramente annunciata. Ha subito le critiche feroci dell’opinione pubblica e degli addetti ai lavori, ma non è andato al tappeto. Da vero pugile incassatore ha attutito i colpi che provenivano da tutte le parti e ha scacciato l’idea di un prepensionamento anticipato. Così, quando qualche giorno fa è arrivata la chiamata del ChievoVerona, per Ventura è cominciata una vita sportiva nuova. A 70 anni suonati.
“Ho una voglia feroce di ripartire e l’entusiasmo di un bambino” ha affermato l’ex ct il giorno della sua presentazione alla stampa clivense. Ed è sembrato convincente, perché non è da tutti scegliere una piazza così difficile, ancora traumatizzata dalla falsa partenza in campionato e scossa dalle vicissitudini extra-calcistiche. Il Chievo rappresenta una sfida enorme ed è forse proprio per questo che Ventura ha deciso di accettarla. Per provare a riabilitarsi serve qualcosa che ecceda l’ordinario.
Ma l’esordio, contro l’Atalanta, è stato un disastro. I gialloblù sono stati travolti 5-1 e, naturalmente, anche se insediatosi solo da una settimana, nel mirino è finito anche Ventura. Il neo tecnico si è preso tutte le colpe, ammettendo che forse sarebbe stato meglio risistemare la testa dei giocatori, prima di pensare al gioco. Ha provato a rivestirsi da Rocky, attutendo ancora una volta i colpi dei suoi denigratori. Ormai è il suo destino, quello di parare le critiche. Ma un conto è farlo quando si è a spasso, un conto quando si ha la responsabilità di salvare una squadra sull’orlo della disperazione come il Chievo.