Dopo la pesante sconfitta subita contro l’Olanda e le conseguenti, inevitabili polemiche dei giorni successivi, alla Germania non restava che una possibilità per tornare a galla: mostrare immediatamente una reazione decisa e rabbiosa, accompagnata magari da una vittoria, contro l’avversaria più forte del momento, la Francia che pochi mesi fa alzava la Coppa del Mondo. Una risposta convincente alle critiche, insomma, non era più rinviabile per salvare il progetto Löw dal massacro mediatico, dalla furia dei tifosi e dai crescenti dubbi della Federcalcio tedesca. E alla fine, anche se è arrivata la sesta sconfitta dell’anno solare, un record senza precedenti nella storia del calcio teutonico, con l’umiliante retrocessione in Lega B ormai diventata quasi inevitabile, la squadra che lascia Parigi torna a casa con una consapevolezza fondamentale per ripartire: quella dei successori dei campioni del Mondo del 2014 non è assolutamente una “lost generation”.
Chi ha assistito alla sfida di ieri sera tra Francia e Germania (oltre a essersi parecchio divertito per i ritmi molto elevati del gioco) sa che quel 2-1 finale non è stato il risultato più corretto. Resta, senza ombra di dubbio, un gran premio per una Francia spenta nel primo tempo, ma salita in cattedra nella ripresa, quando i suoi campioni si sono accesi, facendo valere tutta la propria qualità ed esperienza: una conferma ulteriore, se mai ce ne fosse stato bisogno, che i Blues sono ancora i più forti del Mondo. Ma la punizione per gli uomini di Löw resta oggettivamente troppo severa, così come lo sarà la possibile retrocessione. Ci si attendeva una prestazione di tutt’altro livello rispetto alla disfatta di Amsterdam e i tedeschi hanno risposto con più di un’ora di grande compattezza difensiva e travolgenti cavalcate offensive, difficili da contenere persino per la rocciosa difesa dei Blues. Vero, per vincere gare di questo livello serve giocare bene novanta minuti e oltre. Ma guai a pensare che questa Germania sia davvero in crisi e con le spalle al muro.
In una delle sfide più delicate della sua avventura da ct, Löw ha preso coraggio, capendo di dover superare una volta per tutte i bei ricordi del passato. Squadra stravolta rispetto a quella di Amsterdam, fuori gli uomini più deludenti, da troppo tempo immersi in un limbo generazionale senza successi, culminato nel fallimentare Mondiale; dentro tanti giovani fin qui poco utilizzati, ma ormai pronti per provare a prendersi il futuro della Nazionale: gli under 25, ieri sera ben 7 in campo (più Nico Schulz, appena 25enne) su 11, escludendo gli intoccabili mentori Neuer, Hummels e Kroos. E la risposta è stata da giocatori di tutt’altra esperienza: dall’inesauribile Schulz, padrone per quasi tutta la gara della fascia sinistra al cospetto di un Pavard confuso, alle rapidissime manovre offensive del duo Werner-Gnabry accompagnato dalla qualità degli esterni Sané e Kehrer, fino al buon lavoro di Kimmich davanti alla difesa.
Di gioielli nelle miniere tedesche, insomma, Löw ne ha pescati ancora diversi. Con colpevole ritardo, certo, perché la generazione precedente aveva fatto sentire il suo peso nelle scelte tecniche, rendo difficile anche per l’inflessibile ct tedesco un distacco secco dalla squadra dei campioni. Ed è un peccato che l’esperimento provato nella scorsa Confederations Cup, con una Germania rimpolpata di giovani speranze e con pochi titolarissimi in rosa, sia rimasto una semplice parentesi senza un logico seguito. Si sarebbe dovuto ripartire dalle buone prestazioni di quel torneo e invece si è deciso di consumare fino all’osso una generazione ormai satura. Con le conseguenze che ormai tutti conosciamo e di cui questo 2018 resterà crudele testimone.
La Germania va dunque verso la retrocessione e una conseguente, temporanea uscita dall’élite del calcio mondiale. È il fallimento di una squadra, ma non di un modello calcistico che resta uno dei migliori al mondo. I tedeschi non sono più i migliori, perché mancano i campioni che oggi, per esempio, ha la stessa Francia e servirà tempo per ricostruire. Ma i ragazzi di 22, 23, 24 anni scesi in campo ieri sera a Parigi sono figli di un’organizzazione che ha reso i tedeschi una delle presenze fisse tra le “big” internazionali, permettendo un gran susseguirsi di campioni, uno dietro l’altro. E questa generazione, ne siamo certi, non sarà da meno.