Parlare di momento buio che attanaglia la nazionale italiana, sta ormai diventando quasi un inquietante, quanto noioso, déjà vu all’infinito. La cura Mancini è sicuramente una di quelle che ha bisogno di trattazione terapeutica molto lunga per migliorare le condizioni del paziente; o quantomeno abbiamo una forte speranza che sia così, perché viceversa le preoccupazioni aumenterebbero in maniera esponenziale. La dimensione della realtà italiana oggi è di un preoccupante secondo livello, e a prescindere da sperimentazioni o simili di sorta (in amichevole), non ci è permesso ancora oggi di intravedere nemmeno la parvenza di una luce in fondo a questo lugubre tunnel.
Dopo l’ennesimo sconcertante spettacolo offerto da un’Italia che stenta e che esce tra i fischi di Marassi dopo il pareggio con l’Ucraina, il classico lumicino della speranza (ormai sempre più frutto di valutazioni fatte sul, e azioni del, singolo) è stato ben custodito e mantenuto al riparo da un piccolo centrocampista di origini sarde, balzato ormai da diverse settimane a questa parte agli onori della cronaca, con il nome di Nicolò Barella.
Il talentino isolano è nato a Cagliari il 7 febbraio 1997, un metro e settantadue di statura per 70 chilogrammi circa di peso, che non ne fanno di sicuro una figura mastodontica a prima vista. Ma è proprio aguzzando leggermente lo sguardo un po’ più al di là delle apparenze, e soffermandosi su quelle che sono le doti tecniche, tattiche, ma anche di personalità e soprattutto fisiche (in relazione proprio a quel che è la struttura generale del calciatore, valutazione complessiva che proprio a Cagliari è stata fatta da due anni circa a questa parte, e che il C.T. Mancini ha invece appena cominciato), che ci ritroviamo senza ombra di dubbio a osservare uno dei più cristallini prodotti da vivaio che negli ultimi anni si sono affacciati all’interno del calcio nostrano. Un plauso a Mancini, almeno per questo, va fatto: la coerenza tra il dichiarare che “il calcio italiano ha pochi italiani in campo” e il cercare di convocare il più possibile giovani di madrepatria per incoraggiarne utilizzo e sviluppo (vedi anche Zaniolo), gettandoli pure nella mischia sin dal primo minuto, è oggettiva.
Il compito con Barella però è, alla luce dei fatti, quanto mai semplificato. Cresciuto tra le fila delle giovanili del suo Cagliari, nel 2016 passa in prestito al Como dove arriva già con la nomea di ragazzo d’oro ma anche e soprattutto fregiato, per due edizioni consecutive, con il premio di miglior centrocampista italiano classe ’97. E infatti in Lombardia è solo un toccata e fuga. Barella viene richiamato l’anno successivo (scorsa stagione ndr) alla base, dove si rende subito protagonista di una importante corsa salvezza con i colori rossoblu; colori dei quali, da quest’anno – anche in virtù dell’avanzare d’età dell’espertissimo Dessena – risulta essere capitano. Sì, perché Maran dall’alto della sua nomea di allenatore abituato ad allenare giocatori anziani (vedasi il Chievo delle passate stagioni), non ci ha pensato due volte ad affidare al ventunenne cagliaritano fascia e chiavi del centrocampo isolano. Ruolo che il ragazzo, sin dall’avvio di stagione, sta ricomprendo egregiamente e senza indugi, con un esordio da titolare in Nazionale che risulta il giusto coronamento di un percorso partito da lontano e, giustamente, già arrivato a un primissimo traguardo molto importante.
Barella al momento colleziona 73 presenze in serie A, condite con 7 gol, e tanti, molti assist. Ma ciò che colpisce del suo modo di giocare è proprio il metodo con cui interpreta il ruolo, che lo ha portato a essere, in davvero pochissimo tempo, una sorta di tuttocampista: la sua polivalenza gli permette di adattarsi a qualsiasi ruolo del centrocampo; in così pochi anni infatti è stato già visto agire sia da mediano, che da mezzala o da trequartista. Tutto ciò gli è permesso da un’ottima visione di gioco generale, ma anche e soprattutto da una notevole dinamicità e aggressività che lo portano a lottare su ogni pallone.
Proprio questo risulta essere uno dei fattori più rilevanti del capitano cagliaritano; l’esserci sempre, l’esserci in continuazione, ricoprire le due fasi per la gioia e anche l’orgoglio del tifo cagliaritano. Il conoscerlo più da vicino ha dunque giustificato i tanti cartellini che mal si conciliavano con un giocatore così giovane. Nessuna forma di inesperienza, tutt’altro; tanta grinta e tanta voglia, con una gamba mai tirata indietro capace al contempo di essere di qualità. Spesso e volentieri Barella è infatti entrato nelle azioni da gol cagliaritane con i calci da fermo, trovando sia reti che assist in particolare su calci di punizione.
E visto che, la moda di assimilare sempre un nuovo prospetto a un calciatore viceversa già affermato non tramonta mai, tante sono le caratteristiche comuni – oltre che la Sardegna e il Cagliari come luoghi di esplosione – che ci portano a indicare le tante similitudini con un giocatore del calibro di Nainggolan. Dinamicità, grinta e ottima tecnica di base come detto quindi; le identiche doti messe in mostra dallo stesso belga nei primi anni di A e poi affinate nel corso degli anni. Barella è sulla strada giusta per essere un “Radja-bis”, anche se sin da ora appare ovvio come debba leggermente migliorare la capacità realizzativa e la relativa freddezza sotto porta rispetto al Ninja.
Insomma, Barella si candida prepotentemente a far parlare di sé per molto tempo, lungi dall’essere un fuoco di paglia ai quali molte volte abbiamo avuto modo di assistere negli ultimi anni. Praticamente, la via intrapresa per ripercorrere le impronte del predecessore sembra essere quella giusta. E, non ce ne vorranno i tifosi del Cagliari (che invece sperano in uno spirito di Riva reincarnatosi in quella fascia da capitano, anche se, purtroppo, i tempi sono ben diversi), ma anche l’approdo potrebbe un giorno essere lo stesso. La fede interista del ragazzo potrebbe infatti giocare un ruolo importante nel momento in cui Nicolò sarà uno di quei nomi al centro delle trattative mercato, in un futuro davvero molto prossimo. Staremo a vedere.