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UFC 229: quando la realtà prevale sullo spettacolo

Doveva essere l’evento più importante della storia in ambito Ultimate Fighting Championship e Mixed Martial Arts. Doveva essere il banco di prova di questo sport davanti al palcoscenico mondiale, composto anche e soprattutto dai tantissimi curiosi che si erano avvicinati a questa disciplina grazie alla faida Conor McGregor – Khabib Nurmagomedov. Un incontro seguito da tutto il mondo che avrebbe potuto e dovuto dare alle arti marziali miste un’ulteriore scossa a livello di crescita, visibilità e di realtà consolidata nel panorama sportivo internazionale. Per certi versi ci è riuscito, ma sfortunatamente nel modo peggiore possibile, anzi in un modo che anche alla vigilia nessuno avrebbe potuto ipotizzare.

Inutile, o quasi, entrare nel merito di ciò che è accaduto all’interno dell’ottagono di UFC 229. Perché quello che ha fatto parlare il mondo, paradossalmente, è avvenuto al di là di quello che dovrebbe essere il teatro naturale di questo spettacolo. L’attacco di Khabib Nurmagomedov all’angolo, al team, di Conor McGregor rimarrà una delle immagini e delle pubblicità peggiori nella storia di questo sport. Una reazione ingiustificabile del russo causata da mesi e mesi di un gioco pericoloso architettato anche dalla UFC stessa. Una moda, quella del trash talking (del linguaggio volgare, dell’insulto gratuito e oltre), che ha totalmente invaso la UFC in questi ultimi anni, che ha sfruttato e cavalcato questa tattica per creare rivalità, fomentare giornali, tv, appassionati e non. Una mossa di marketing, di cui proprio Conor McGregor è maestro, portata però in questa occasione all’esasperazione più totale. Nei mesi precedenti a UFC 229 l’irlandese era infatti andato più volte oltre certi limiti, prima attaccando (con l’obiettivo di intimorire Khabib) un pullman di atleti UFC ferendone diversi, poi sparlando pesantemente del russo coinvolgendone la famiglia e la religione. Una strategia di vendita volta a inseguire l’eccesso, decisa e perseguita da McGregor e “appoggiata” dalla UFC, che ha lasciato sempre molto fare l’irlandese anche nel corso di conferenze stampa ufficiali dell’organizzazione. Ma questa moda del trash talking, tipicamente occidentale, se così bene aveva funzionato con avversari come Nate Diaz e Floyd Mayweather, con loro stessi consci di ciò che stava inscenando e interpretando l’irlandese, questo show di poco gusto non poteva essere colto e accettato con spensieratezza da un team come quello di Nurmagomedov, proveniente da un mondo e da uno stile di vita totalmente differente.

Poteva essere l’opportunità per scacciare una volta per tutte i falsi miti che girano attorno alle arti marziali miste, ma con quale coraggio in questi giorni si può sostenere che “no non si tratta di semplici risse o scazzottate”. Non si può dimenticare ciò che è accaduto, ma si può sottolineare – come contrappeso dell’immagine peggiore della serata di sabato se non di sempre – la bellezza del co-main event tra Tony Ferguson e Anthony Pettis, tra due campionissimi dentro e fuori l’ottagono. Questo sì da sbandierare come immagine simbolo di ciò che dovrebbero rappresentare le MMA e la UFC.