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Foto: Twitter @LFC

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Le ultime settimane hanno visto il Liverpool di Jürgen Klopp rallentare, o comunque sbranare meno avversari rispetto all’incipit di stagione. E se dal punto di vista di social media, giornali e opinionisti vari è pieno di persone che non vedevano l’ora ciò accadesse per poter rivendicare – come dopo il ko di Napoli – che non è tutto oro quello che luccica in Premier League, un fondo di verità c’è nella tesi di chi ha preso nota di un calo di prestazione da parte di Jordan Henderson e compagni, dopo un inizio di 2018-2019 praticamente devastante.

La notizia, comunque, è che il Liverpool è sempre lo stesso. Ha un piano A e a quello si attiene; vero che non mancano elementi di miglioramento e discontinuità rispetto alla stagione passata, ma ci vorrà del tempo prima che la squadra possa davvero maturare e crescere a tuttotondo, cambiare vestito tattico, atteggiamento e mentalità a seconda della situazione. O essere credibile quando lo fa, o sapersi adattare quando necessario, quando costretta.

È un po’ questo che non è andato mercoledì sera al San Paolo, allorché il Napoli – ben messo in campo da quella vecchia volpe di Carlo Ancelotti e forse dato troppo presto per andato dopo il ko nel big match con la Juventus nel weekend – ha praticamente messo i Reds sotto scacco per 90 e passa minuti. La grande prova di David Ospina, portiere di ottimo livello arrivato abbastanza in silenzio in prestito dall’Arsenal, non nasconde il il fatto che gli azzurri, finalmente maturi a livello continentale almeno per quanto visto in questa sfida di cartello già importante per le sorti del gruppo C, siano stati in grado di costringere la capolista della Premier a snaturarli, lasciandola così nuda e incapace di agire, spinta a cambiare abito quando non era pronta.

Come quello del 2017-2018, questo Liverpool non è ancora capace di adattarsi, di difendere baricentro basso, contenere. Questo Ancelotti lo sapeva e bene ha fatto a sfidare Klopp in una partita a scacchi.
Sicuramente non significa che la stagione dei Reds finisce qui, anzi, ma è un bel campanello d’allarme, unito alla sconfitta col Chelsea in Coppa di Lega (26 settembre, 1-2 ad Anfield nonostante il gol di un redivivo Daniel Sturridge) che ha fatto sfumare già il primo obiettivo stagionale, al pareggio in extremis di Stamford Bridge sempre contro i Blues di Maurizio Sarri (decisivo ancora Sturridge, su assist di Xherdan Shaqiri).

Certamente, il calendario non ha aiutato, anche se nella primissima parte di stagione agonistica il team aveva dato prova di saper reggere i big match, in maniera accattivante e autoritaria. L’1-2 di Wembley sul Tottenham, assieme al 3-2 di Anfield sul Paris Saint-Germain, stavano anche stretti come punteggi a una squadra dal gioco avvolgente, “a ondate” ma anche continui nell’arco dei 90 minuti di gioco. Poi, psicologicamente s’è messo qualcosa e adesso resta da valutare come l’XI di Klopp reagirà ai passi falsi, al rallentamento.

Nell’economia del girone di Champions League, è un ko che pesa e brucia. Il Napoli è ora in testa al girone nonostante lo 0-0 di Belgrado e guarda con fiducia alle prossime sfide di campionato e coppa. Al Liverpool, secondo a quota 3, quanto successo mercoledì brucia perché un punto in Italia avrebbe fatto comodo e sarebbe andato a costituire un bel tesoretto in vista dei prossimi impegni.
Alla sfida di domenica col Manchester City, che col colpo esterno in casa dell’Hoffenheim (1–2) si riscattato dopo il deludente tonfo in casa contro il Lione, arriva dunque una squadra meno arrembante di poche settimane fa e che della sosta per la Nations League ha bisogno come dell’acqua nel deserto.
L’incontro coi Citizens e il suo esito determineranno lo stato d’animo con cui il Liverpool andrà a godersi la sosta. Lasciare Melwood e aggregarsi alle nazionali con un’altra sconfitta sul groppone potrebbe avere effetti deleteri sulla tenuta mentale dei giocatori, anche dei più esperti.