Partiamo subito da un dato realistico e alquanto sconfortante: la Roma vista ieri sera al Santiago Bernabéu è solamente una squadra lontana parente di quella che, pochi mesi fa, conquistava con merito una semifinale di Champions League eliminando gli spagnoli del Barcellona. Proprio dalla competizione che più aveva dato soddisfazioni l’anno scorso agli uomini di Di Francesco, e proprio contro l’altra squadra top del campionato iberico – il Real Madrid campione in carica – i giallorossi non riescono a trarre nuova linfa vitale e perdono con merito tornando da Madrid con le ossa rotte. Non uno, ma almeno due passi indietro rispetto a quanto visto solo 4 mesi fa; il che, soprattutto in concomitanza con i risultati fin qui ottenuti anche in campionato, è motivo di preoccupazione in casa capitolina.
Proprio in occasioni come questa emerge però la necessità, consolatoria, di guardare a quello che può essere visto come un qualcosa di positivo in una serata così deludente: e per fortuna, anche nella pochezza di questa serata in terra spagnola, una nota positiva c’è: l’esordio dal primo minuto in giallorosso di Nicolò Zaniolo. Classe 1999 e fisico invidiabile, il giovane ragazzo di Massa è risultato essere la notizia bomba dell’immediato pre-gara. Zaniolo è stato infatti buttato nella mischia in una partita delicatissima, contro la squadra che a oggi risulta essere la più forte al mondo, con alle spalle 0 minuti giocati in Serie A e solo le soddisfazioni ottenute con la maglia delle giovanili dell’Inter (da ultimo lo scudetto primavera della passata stagione).
Un segnale forte quello dato da Di Francesco, il quale ha tenuto a ribadire la sua scelta anche nelle dichiarazioni post sconfitta: “Non sono impazzito a schierarlo in Champions. Ha qualità importanti, stasera ha alternato cose buone a cose meno, era all’esordio ma non c’era partita migliore. Ha fatto una buona gara rispetto al contesto generale”. Ma soprattutto, in occasione delle domande postegli dal grande Paolo Rossi dagli studi della Rai – il quale si interrogava su una probabile mancanza di esperienza generale della Roma nella gara di ieri – ha voluto mettere le cose in chiaro con un sintetico “ragionando sui titolari hanno giocato tutti giocatori d’esperienza come Florenzi, Fazio, De Rossi, Nzonzi e Džeko. L’unico giovane era proprio Zaniolo. Se poi ti metti a 5 e difendi solo risulti poco coraggioso. Non possiamo parlare di inesperienza, avrei preferito perdere 3-0 con una squadra giovane”.
Ora, a prescindere da quella che può essere la valutazione tecnico-tattica dell’ora spicciola giocata dal giovane giallorosso, quanto detto dal tecnico giallorosso da modo di riflettere, soprattutto in virtù di quanto abbiamo visto e sentito nemmeno due settimane fa. Un Commissario Tecnico come Mancini che si è lamentato, in maniera esplicita, di un campionato italiano quanto mai povero di giocatori italiani e di una rappresentativa azzurra condannata alle delusioni degli ultimi anni proprio in virtù di ciò. Eppure, “l’azzardo” di far esordire dal primo minuto lo stesso Zaniolo – che proprio Mancini, a “sorpresa”, aveva convocato per la Nations League (in quell’occasione parlammo di “provocazione”) – risulta essere come da tradizione una stranezza nell’ideologia propria del calcio italiano, e niente affatto la normalità. Il che fa sorridere, se solo pensiamo che proprio lo stesso Real è il rappresentante principale di quella che è ormai una vera e propria cultura – alquanto vincente – di matrice spagnola, che porta il calcio iberico a trovare continuità nel continuo ricambio generazionale che avviene con giovani prodotti delle varie Cantere a cui viene data immediatamente possibilità di allenarsi e giocare con continuità a fianco dei campioni già affermati e vincenti. Ergo per loro è la normalità stropicciarsi gli occhi dinanzi alle giocate di fino di un Marco Asensio o di un Lucas Vázquez, giasto per citarne alcuni.
Insomma: Mancini ha ideologicamente posto le basi, Di Francesco ha tracciato la via. Di italiani esordienti in Champions se ne sono visti in passato e se ne dovranno rivedere; ma ciò che occorre realmente adesso è dare continuità a questa tendenza. Cercare di trasformarla, il più velocemente possibile, nella normalità che oggi permette a nazioni come Spagna, Germania, Francia di mantenere gli standard di ottimo livello da sempre avuti e che al momento mancano invece al movimento calcistico italiano, che naviga sul fondo del barile ormai da fin troppo tempo. Perché purtroppo i giovani calciatori italiani trovano sempre meno spazio, la scelta vira quasi sempre sul “mandarlo a far le ossa” in squadre – o addirittura campionati – di livello inferiore, con esordi “tra i grandi” sempre più tardivi ed esplosioni di talento ormai davvero centellinate. Lavoro e programmazione oculati, Primavere che abbiano standard da prima squadra sia nella scelta dei tecnici sia nell’impianto e nello stile di gioco, in modo di inculcare quanto prima quello che deve essere raggiunto; non servono i risultati o i titoli giovanili, servono giovani pronti a dire il loro nel calcio che conta. Per fare in modo che un Di Francesco del futuro non venga mai più chiamato a rispondere del “coraggio” di una scelta, ma solo del perché e del come si sia vinta o persa una partita.