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L’estate perfetta

Sole, spiagge bianchissime e mare cristallino: è questo un po’ per tutti lo stereotipo dell’estate perfetta, ma Novak Djokovic ha fatto decisamente meglio trascorrendo tre mesi praticamente perfetti.

Dopo l’eliminazione del Roland Garros per mano di Cecchinato ai quarti di finale le critiche sul serbo erano sempre più continue e i dubbi sul suo ritorno al vertice erano via via maggiori con la classifica che parlava chiaro: posizione numero 21 e poche possibilità di avere tabelloni più comodi nei tornei successivi.

Ma arrivarono giugno e Wimbledon, torneo e superficie preferiti di Djokovic, i primi turni abbordabili fino alla semifinale epica contro Nadal, vinta al quinto set dopo un’autentica battaglia di oltre cinque ore. La finale contro Anderson è stata dominata e il primo titolo slam a distanza di due anni dal precedente è finalmente realtà: il serbo sta tornando e la semifinale contro Nadal ne è la prova, con il cuore sempre oltre l’ostacolo.

Il ranking ATP ora dice decima posizione, ma a Toronto arriva un piccolo passo falso cedendo al terzo turno contro il talentuoso Tsitsipas; i dubbi sul suo futuro tornano a galla nonostante Djokovic continui a ripetere di essere sulla strada giusta per tornare quello di una volta, magari non la versione aliena del 2011, ma comunque ancora in grado di vincere e dare spettacolo.

Il torneo successivo è Cincinnati, unico Masters 1000 assente nella bacheca dell’ex numero uno del mondo: il tabellone è fin da subito ostico con Dimitrov al terzo turno e Raonic nei quarti di finale , sconfitti entrambi in tre set. La semifinale contro Čilić è più complicata del previsto, ma una volta approdato in finale il sogno di completare tutti e nove i tornei Masters 1000 è veramente a un passo. Sulla sua strada c’è però Roger Federer che, complice un non eccezionale stato di forma, cede con un doppio 6-4 facendo scrivere a Djokovic un altro record e un’altra pagina di storia: il primo giocatore di tutti i tempi a centrare il Career Golden Masters.

La forza del serbo è sempre stata il sacrificio, saper non mollare mai per alzare sempre di più il proprio livello; una volta divenuto padre, il periodo di appagamento famigliare lo ha costretto a cambiare obiettivi e un lungo infortunio gli ha impedito un ritorno più veloce. Ma adesso Djokovic si sente al massimo e giunge allo US Open da favorito insieme a Nadal. Testa di serie numero sei, il campione di Belgrado approda in semifinale lasciando per strada soltanto due set e approfittando anche della clamorosa sconfitta di Federer contro Millman. L’ostacolo Nishikori non si rivela particolarmente impegnativo e la finale contro del Potro ha un sapore particolare: entrambi i giocatori sono molto amati dal pubblico e sono reduci da una lunga riabilitazione che sono riusciti a superare arrivando fino a giocarsi lo US Open all’atto finale. Djokovic appare nettamente più in forma, quasi a livello del 2011, suo anno d’oro, e riesce sempre a murare ogni tentativo di accelerazione dell’argentino risultando a tratti ingiocabile. Il 6-3 7-6 6-3 è l’emblema della forza del serbo che alza al cielo il suo terzo slam americano, eguagliando Sampras a quota 14 major complessivi.

Dalla prima vittoria slam di una delle tre leggende (Federer, Wimbledon 2003) all’ultima (Djokovic, US Open 2018), tra le quali intercorrono più di 15 anni, si sono disputati, contando i due appena citati, 62 tornei del grande slam, 51 dei quali sono stati vinti da uno dei tre (Federer 20, Nadal 17, Djokovic 14). Gli altri vincitori sono, in ordine : Roddick (UO2003), Gaudio (RG2004), Safin (AO2005), Del Potro (UO2009), Murray (UO2012), Murray (WI2013), Wawrinka (AO2014), Cilic (UO2014), Wawrinka (RG2015), Murray (WI2016) e Wawrinka (UO2016). Il dominio più incredibile di sempre. Nella stessa epoca. Leggende, per capire l’aggettivo migliore per descrivere Nadal, Federer e Djokovic.

Ora il serbo è numero tre al mondo, ma con i pochi punti da difendere da qui a fine anno può seriamente candidarsi a concludere la stagione al vertice conquistando così un altro obiettivo. Il campione che si allenava sotto le bombe di Belgrado è tornato e ora i libri di storia tremano: altri record sono pronti per essere scritti.