Ora è lui l’uomo da battere, non ci sono dubbi. A Wimbledon la scossa, il terzo US Open, invece, è la prova definitiva che Novak Djoković è tornato per restare al top. E le intenzioni sembrano quelle di dominio, difficile che il nuovo #3 del ranking mondiale si accontenti, infatti, del suo 14esimo slam. L’ambizione e la fame lo fanno guardare già in avanti: lo si è capito quando accasciatosi al suolo dopo il punto della vittoria, dopo aver asciugato le lacrime di un affranto del Potro, e ringraziato tutti, ha immediatamente cambiato espressione durante la premiazione. Come a dire “Ok, ho disputato due grandi major, ma non è finita qui”. Nel mirino ci sono vari obiettivi, e forse si dovrà effettuare una scelta: chiudere quest’anno con la caccia alla vetta del ranking, o tirare un po’ il fiato dopo una stagione in cui si è spinto parecchio. Concentrarsi, dunque, sul Masters e sugli Australian Open, con l’ambizione di vincere quei 6 slam che lo separano dai 20 di Federer.
Sicuramente qualche giorno per godersi il successo il nuovo re di New York dovrà e vorrà prenderselo. Nole forse ha vinto troppo poco (tre volte) un torneo che si adatta perfettamente alle sue caratteristiche, ma si è aggiudicato un’edizione fortemente condizionata da un clima proibitivo e da qualche polemica. Bisogna staccare la spina, per quanto lo deciderà lui, che ricordiamo si è ripreso solo quest’anno dai problemi al gomito. Ad ogni modo sul tetto newyorkese ci è salito senza troppi patemi dopo un percorso che l’ha visto scricchiolare solo nei primi due turni, prima di essere agevolato da un tabellone orfano di grandi minacce. Onore a del Potro, deluso dopo la finale persa, ma in qualche modo soddisfatto di esser arrivato ad un solo centimetro da un sogno: glielo ha riconosciuto proprio l’amico Nole, così come tutto il popolo di appassionati. Tornare in finale a Flusing Meadows dopo gli anni di tribolazioni non era da tutti, soprattutto dopo un rischio tangibile di abbandonare il tennis. La Torre di Tandil è andata più in alto di un semplice rientro ed ora a 30 anni è tornato ai vertici, covando la possibilità di prendersi finalmente il suo secondo major dopo il primo ed unico vinto qui a New York 9 anni fa.
Secondo ritiro stagionale in un major per Nadal, proprio in semifinale contro del Potro. Qualche malevolo lo avrà tacciato di codardia, insinuando che il principe del ranking soglia abbandonare la battaglia quando sa di non poterne invertire le sorti. I problemi al ginocchio del maiorchino, comunque, non sono una novità, e a volte bisogna ragionare a mente fredda per gestire il proprio fisico, se a 32 anni si vuole continuare a stupire. Bel torneo quello dello spagnolo, protagonista di una battaglia incredibile con il delfino Thiem, che dopo averlo battuto sulla terra di Madrid ma non al Roland Garros, lo stava quasi scalzando negli Stati Uniti, mancando per questione di dettagli un turning point di rilievo nella sua carriera. Potrà ripartire da una delle sue migliori prestazioni . Rafa invece dovrà valutare le sue condizioni ed in seguito ragionare sull’ultima porzione di anno. Poi c’è Roger Federer.
I segnali americani non sono positivi. Dopo la débâcle inglese contro Anderson, qualcuno aveva pensato ad un incidente di percorso. Avrà sottolineato come Anderson , due volte finalista slam in meno 12 mesi (una proprio a New York nella scorsa edizione), sia un tennista di livello. Vero. Ma bisogna interrogarsi su due dati: sia in Inghilterra che allo US Open, l’elvetico è crollato dopo non aver concesso neanche un parziale nel proprio percorso. Entrambe le volte è stato rimontato, la seconda volta da Millman, uno abbastanza lontano dal tennis che conta. All’England Club fu un bad day a determinare la resa, a New York un caldo asfissiante che oltre a fargli commettere 76 gratuiti, avrebbe causato un mancamento a fine gara. Alibi a parte, resta comunque la sensazione che Roger patisca una difficoltà non da poco nell’affrontare le proprie incertezze: un deficit che invece i suoi colleghi Djoković e Nadal non sembrano avere. Ed il #2 del ranking sta sicuramente interrogandosi sulle cause dei suoi black-out: dopo un match straordinario contro Kyrgios con giocate fantascientifiche, Federer si è sciolto contro il meno celebre australiano Millman. Ed il fattore della sconfitta è parso di matrice psicologica più che fisica. Anche se è certo che le due sfere si compenetrino per dare un unico risultato che in questo è stato la sconfitta. Nella schiera dei delusi si colloca pure Marin Čilić, affondato ai quarti da un ottimo Nishikori che, dopo un buon torneo ed una stagione incoraggiante, ha sfiorato la seconda finale in questo major.
Male Zverev che conferma la sindrome da slam, trafitto dal connazionale Kohlschreiber. Buone prestazioni di alcuni giovani come Shapovalov, Khachanov, De Minaur (che ha spaventato non poco Nadal), ma nessun botto. Saluta il tennis Ferrer: un grande giocatore lo spagnolo, atleta che ha raccolto meno di quanto potesse ottenere per i suoi mezzi.
Non pervenuto il tennis azzurro, nonostante i ben 8 atleti inseriti nel tabellone principale. Rimpianti soprattutto per Fognini, sconfitto proprio dal guasta feste Millman. Nella categoria juniores si sorride invece per la finale di Musetti ed i quarti di Zeppieri, entrambi 16enni. Risultati che fanno ben sperare su due prospetti che potranno dire la loro tra qualche anno, almeno questo è l’auspicio. Tra i grandi male anche le donne, con la Giorgi fuori al secondo turno con Venus.
Wawrinka e Murray sono ancora in convalescenza: ma se lo svizzero sembra più avanti, pur lontanissimo dai livelli a cui ci aveva abituato qualche anno fa, lo scozzese dovrà utilizzare in prossimi mesi per trovare la condizione partita senza pensare troppo alla classifica.
Capitolo donne. Dopo Wimbledon, Serena rimanda ancora l’aggancio a Margaret Court. Tra lei ed il 24esimo slam ci si sono messe la sorprendente Naomi Osaka ed una “piccola” crisi di nervi che ha animato la finale, e forse distolto l’attenzione dalla splendida prova della giapponese dal futuro roseo. Caso coaching, accuse di sessismo all’arbitro Carlos Ramos, il contorno di un ultimo atto pieno di emozioni: vero che spesso si chiude un occhio quando arrivano suggerimenti dal proprio angolo, indicazioni che stando alla statunitense non sarebbero state né carpite né osservate; ma le lamentele di Serena, che ha comunque riconosciuto il merito dell’avversaria zittendo i fischi finali durante la premiazione, sono state certamente sopra le righe. La campionessa americana, dopo il warning rimediato per aver ricevuto indicazioni dal reo confesso Mouratoglou, non ha avuto la lucidità di fermarsi e pensare al proprio bene (tennistico) incorrendo prima nel penalty point, poi nel penalty game per verbal abuse. Il risultato è stato la fine delle possibilità di raddrizzare un incontro difficile, ma che forse non era totalmente perduto. Questo a livello sportivo, per commentare un procedimento assolutamente nella norma da parte del giudice, certificato dai supervisor. Ma la polemica non si è spenta, anzi, è divampata con vedute diverse nel mondo del tennis: con il sostegno a Serena da parte della WTA e di figure come Billie Jean King, e con l’ITF ha difeso, invece, a spada tratta invece Ramos, forte del suo golden badge (massimo riconoscimento per un arbitro di tennis). Poi c’è stata la risposta di Toni Nadal, sentitosi chiamare in causa, dopo vari episodi discussi che riguardano ovviamente suo nipote. Quando ha parlato di sessissmo, Serena si riferiva ad una disparità di trattamento con gli uomini, argomento di discussione fertile nel circuito, discorso in cui è coinvolto proprio il campione spagnolo Rafa Nadal. Insomma la bomba è scoppiata, con WTA ed ITF che rimangono saldi sulle loro posizioni. Chissà, poi, se la Williams, che dovrà pagare 17mila dollari di multa, pensasse nello specifico al caso Kyrgios, il più fresco nella memoria di tutti. Certo, quello che è capitato all’australiano nel match con Herbert ai 32esimi è assolutamente singolare: mai si era visto, infatti, un arbitro fare del “coaching”, un atteggiamento quello dello svedese non proprio da giudice imparziale. Rischioso il comportamento di Lahyani che è rimasto praticamente indenne, ma il suo incoraggiamento al talento svogliato ha suscitato non poche polemiche, soprattutto in virtù dell’effetto che ha sortito: un’efficace rimonta. Al club dei dimostranti oltre al francese sconfitto, si è iscritto pure Federer, a cui non è piaciuto certo l’episodio che aveva agevolato la qualificazione di un avversario ostico ai sedicesimi.
Non bene tante campionesse e tenniste temibili, come Halep, Wozniacki, Svitolina, Kerber, Muguruza. L’Osaka, solida nelle due settimane newyorkesi, è invece una campionessa che si farà. E se per gli uomini i “vecchietti” rimangono e sembrano poter rimanere al potere per un po’, le due finali perse dalla Williams e l’impresa giapponese portano sul circuito femminile una ventata di cambiamento.