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Luis Enrique ha già in mano la Roja. “Test d’ingresso” superato per il ct spagnolo

Avevamo lasciato una Spagna in balia di se stessa e del suo esasperato tiki-taka, sconfitta agli ottavi dai padroni di casa della Russia. Il Mondiale non ha certo fatto brillare la stella della Roja, tornata in patria con l’amarezza di chi sa di aver gettato al vento una ghiotta occasione, soprattutto alla luce del non irresistibile tabellone creatosi dopo i gironi. L’immagine di una Nazionale sfinita e inconcludente aveva preso il sopravvento nell’immaginario collettivo. E molti ritenevano che anche gli iberici avrebbero pagato il cambio generazionale che, inevitabilmente, doveva essere gestito.

Invece la Nazionale spagnola – finita nel caos più per vicende extracampo, su tutte la questione-Lopetegui, che aveva sconquassato il gruppo alla vigilia di un appuntamento così importante e che probabilmente è risultato decisivo in senso negativo – si è ridestata subito. In maniera indolore, come se tutto il recentissimo passato fosse già archiviato. Sulla panchina dei campioni del mondo del 2010 è arrivato Luis Enrique, tecnico al quale si chiedeva un rinnovamento non solo negli uomini ma anche nelle idee. L’ex allenatore del Barcellona è arrivato in punta di piedi, ma ha dimostrato subito carattere, arrogandosi a leader e assoluto decisore. Ha imposto le sue convinzioni con fermezza, senza mollare di un centimetro. E il suo comportamento, almeno in questi primi mesi, gli ha dato perfettamente ragione.

Del nucleo storico, per intendersi quello che vinse il trittico Europei-Mondiali-Europei, sono rimasti ben pochi calciatori. Con gli addii volontari di Piqué, Iniesta e David Silva e la rinuncia al non amato (da Luis Enrique) Jordi Alba, c’è stato un profondo rinnovamento, soprattutto a livello di titolarità. Accanto ai senatori Sergio Ramos, Busquets e de Gea hanno trovato “posto fisso” i vari Nacho, Asensio, Saúl e Isco: calciatori che, pur ancora giovani, possono annoverare un buon bagaglio tecnico e di esperienza, oltre che il pregio di giocare in formazioni di primo piano come Real e Atlético.

La rivoluzione di Luis è cominciata a Wembley e ha ottenuto subito i suoi frutti, violando il mostro sacro inglese e riportando la Spagna tra le più ammirate, in quanto a gioco. Poi, contro la Croazia vice-campione del mondo, l’apoteosi. Si sono viste novità soprattutto nella gestione della palla: non più uno stucchevole quanto irritante possesso, ma un uso sempre maggiore della verticalizzazione. La manovra è stata gestita con cura ma anche con rapidità, tutt’altra cosa rispetto ai movimenti al rallentatore che avevano caratterizzato il mondiale russo. La Spagna sembra essere con la strada giusta, soprattutto perché, a differenza nostra ad esempio, c’è già un’idea da cui ricominciare. E, particolare da non dimenticare, possiede già quei giocatori che possono prendere il posto di chi ha concluso il suo ciclo con la Roja.