Le italiane e il rapporto complicato con l’Europa League. Quando la svolta?
Era il 2009 quando la tanto rinomata Coppa Uefa lasciava spazio alla nuova UEFA Europa League, competizione che da allora ha cambiato oltre al nome, l’organizzazione e lo svolgimento, anche l’ottima tradizione che accompagnava il calcio italiano nel secondo trofeo più importante dopo la Coppa dei Campioni/Champions League. La Juventus e l’Inter, con tre vittorie iscritte nell’albo d’oro, guidavano la classifica delle più titolate insieme al Liverpool, ma godevano di buona compagnia anche grazie alla Coppa Uefa vinta dal Napoli di Maradona nell’edizione 1988/89 e alle due storiche imprese del Parma: quella del 1994/95 – vinta nella finale tutta italiana con la Juve – e quella del 1998-1999; questa edizione non è solo l’ultima in cui un club italiano ha vinto il trofeo, ma anche e soprattutto l’ultima occasione in cui un’italiana è giunta in finale di tale competizione. Basta questo per capire come fondamentalmente i percorsi delle nostre squadre nazionali in questa “Europa di seconda fascia” siano diventati quantomai complicatissimi e ormai poveri di gioie.
Le premesse per l’Europa League che verrà però, sulla falsariga degli ultimi anni, non sono delle più rosee: pronti via e una delle squadre che più avevano entusiasmato l’Italia e l’Europa nella passata edizione è inciampata sull’ultimo gradino che sarebbe valso l’accesso ai gironi: settimana scorsa infatti, in quel di Copenaghen, l’Atalanta si è arresa ai padroni di casa e alla sfortuna nella lotteria dei calci di rigore, in un doppio confronto – prima in terra italica poi in quella danese – che è apparso quanto mai stregato e condizionato dalla malasorte. Ecco che dunque, già prima di cominciare, il calcio italiano si presenta ai ranghi di partenza privo di una delle sue rappresentanti, forse una di quelle che più trovava entusiasmo nell’affrontare le fatiche settimanali di quella che è ormai, senza ombra di dubbio, una competizione innegabilmente molto sfiancante.
Proprio nelle lungaggini della competizione risiede forse uno dei motivi principali dei fallimenti italiani degli ultimi anni; trofeo lunghissimo, con squadre e relative trasferte anche molto lontane, e appeal ormai del tutto cambiato. Il giorno designato per la competizione è come noto il giovedì: in piena settimana, e con diversi orari soprattutto nelle fasi iniziali; un format che si concilia in maniera davvero complicata con il calcio moderno e tutto il famoso “calcio-spezzatino” nostrano, con interessi e diritti messi inesorabilmente dinanzi a tutto ciò che riguarda riposo, preparazione e consumo di energie fisiche e mentali. La conseguenza è stata fondamentalmente una: quella di considerare l’Europa League non quella antica e prestigiosa competizione europea da porre come obbiettivo stagionale come avveniva anni addietro, ma di vederla invece solo ed esclusivamente come un peso, che molte volte fa sì che ci si presenti con quelle che sono considerate le seconde linee e un ampio turn-over. Ciò non avviene in altre nazioni (Spagna e Inghilterra su tutte), che vuoi per politica gestionale, vuoi per rose e panchine molto lunghe, hanno avuto modo di affrontare e affermarsi in Europa League nell’ultimo decennio.
Ma cosa ci può aspettare in questa stagione? Quest’anno – come accennato prima – le possibilità iniziali di veder vincere una rappresentante italiana (con l’Atalanta già fuori e aspettando ovviamente anche le escluse dai gironi Champions che, come noto, al terzo posto si garantiscono l’accesso di diritto ai sedicesimi di Europa League), risiedono solo su Milan e Lazio. La squadra di Gattuso è andata, tramite un mercato oculato da parte del “nuovo vecchio Milan” (in seguito alle novità dirigenziali di un’estate tribolata), a completare una rosa che l’anno scorso aveva superato abilmente tutte le fasi iniziali – anche quelle preliminari dell’estate – della competizione fino al primo, vero, ostacolo: quell’Arsenal che aveva fatto la voce grossa a San Siro imponendosi per 0-2 e che aveva poi tremato al gol di Çalhanoğlu all’Emirates, vanificato da un rigore completamente inventato e messo a segno da Welbeck, che aveva influenzato la gara e abbattuto le ultime speranze di un buon Milan, che disse così addio alla Coppa. Dati alla mano, al momento non possiamo sicuramente dire che il Milan non sia tra le più attrezzate per arrivare in fondo, ma squadre come il Chelsea di Sarri e lo stesso Arsenal, già da ora, sembrano partire un filino avanti; senza negare purtroppo, che anche quest’anno, da dirigenza a calciatori, l’obiettivo stagionale dei rossoneri è dichiarato come al solito: ritornare in Champions League grazie al campionato. Il girone con Olympiacos (del fresco arrivato Yaya Touré) e del Betis Siviglia, oltre che con la matricola Dudelange, sembrerebbe abbordabile ma nasconde allo stesso tempo non poche insidie; vedremo come ne usciranno i rossoneri, anche per valutare la lettura che la società e Ringhio daranno all’impegno settimanale.
Non riceviamo segnali incoraggianti però nemmeno dall’altra rappresentante nostrana. La Lazio di Simone Inzaghi ha avuto sì da un lato il merito di mantenere in rosa tutti i pezzi da 90, da Luis Alberto a Milinković-Savić, passando per Immobile. Ma al contempo, dall’altro lato, non sembra aver aggiunto quei tasselli, né a livello numerico né qualitativo, tali da poterla far partire tra le assolute favorite dell’Europa League. Trofeo che ormai vede la Lazio come partecipante abituale (quella di quest’anno sarà la settima partecipazione dal cambio nome dell’ex Coppa Uefa), in cui il massimo risultato ottenuto fin’ora però sono stati solamente i quarti di finale. Sembrava essere lo scorso anno quello giusto per una inversione di tendenza per i biancocelesti, prima del suicidio sportivo in casa del Salisburgo. Vedremo se dopo la sosta per le nazionali i romani riusciranno a riconquistare quel gioco divertente della passata stagione, l’unico fattore al momento in grado di sopperire a quelle che sono le mancanze della rosa, agli occhi di chi scrive, e per provare ad avvicinarsi concretamente a questa “maledetta” coppa; anche perché il girone con Marsiglia, Eintracht Francoforte e Apollon Limassol sembra essere uno dei più duri dell’intera Europa League.
Non resta davvero che confidare in un calcio italiano che riesca a trovare, tra i meandri delle difficoltà e della fortuna, la giusta via per arrivare fino in fondo all’Europa League. In un cambio che deve essere di approccio, mentale. E far sì che, dopo tanti anni, l’albo riesca ad aggiornarsi con una delle nostre squadre che un tempo dominavano non solo nella “Coppa dalle grandi orecchie”, ma anche in quella di “riserva”, che chiamarla così, ad oggi, fa davvero sorridere.