La grande occasione sprecata da Čilić
Non c’è solo il tonfo di Federer nel calderone di storie tennistiche made in USA. Non solo la disputa sulle causa e della caduta di un re forse in declino, sui fattori fisiologici, climatici e quelli più strettamente tecnici e mentali. C’è l’ennesima prova da guerriero di Rafa Nadal, che risale dal fondo e sogna la rivincita con Djoković dopo aver affondato il quanto mai temibile Thiem versione Major. Ma prima c’è Delpo, battuto lo scorso anno in semifinale, non un avversario cuscinetto, diciamo così. C’è il successo nel terzo quarto di finale in uno slam (tutti a Flushing Meadows) di Kei Nishikori. Uno che sa bene cosa sia un tunnel oscuro e senza uscita. E tra i grandi delusi annoveriamo proprio lo sconfitto del duello con il nipponico, trafitto dal suo Katana e dai suoi lungo linea letali di rovescio, tradito sempre da quell’aspetto che dovrebbe migliorare per colmare il gap che lo separa dai “grandissimi”: la testa. Stiamo parlando, ovviamente, di Marin Čilić.
Parliamo del croato che nella riproposizione dell’incontro più importante della sua carriera (finale Us Open 2014), con lo stesso avversario, nello stesso teatro, ma non al medesimo punto del torneo, ha fallito un’altra occasione per entrare nell’Olimpo tennistico. All’Arthur Ashe, contro Nishikori, quattro anni fa, il #7 del ranking celebrò infatti il successo più importante della sua carriera, nonché l’unica vittoria in un Major. Ora abbandona con un pizzico di rammarico il suolo statunitense. Chiaro, fallire un’occasione non vuol dire fallimento in toto, soprattutto se si consideri che il campione 2014 è stato eliminato con l’onore delle armi, da un rivale di tutto rispetto. Ma Čilić, insieme a tanti esperti, avrebbe immaginato sicuramente un’estate diversa, dopo due le finali di Wimbledon 2017 e Australian Open 2018, in seguito a una stagione sulla terra incoraggiante per uno spilungone come lui, che oltre al servizio e il diritto può contare su un rovescio poco elegante, ma certamente più efficace del passato. E se parliamo di aspetti tecnici, è stata proprio una battuta scricchiolante ad incidere sulla sua eliminazione ai quarti.
Facciamo un passo indietro. Torniamo ai fatti di giugno, al Queen’s, uno dei tornei sulla strada che porta a Wimbledon. Un Čilić solido e battagliero sconfigge in finale Djoković in rimonta, e alla luce di risultati stagionali positivi parte tra i favoriti all’All England Club. Per molti, me compreso, sembra poter seriamente scalzare Roger Federer, prendendosi la rivincita delle due finali slam perse in Inghilterra ed in Australia. La sconfitta prematura contro il “guastafeste” terraiolo Guido Pella poteva essere considerata un incidente di percorso. Sulla valutazione di una prestazione negativa poteva pesare la pressione di poter e forse dover diventare un pezzo grossissimo del tennis, a 30 anni, quando vieni dai 12 mesi migliori della tua vita.