Atalanta, alla ricerca dell’umiltà perduta
Quanto dura il cammino dall’esaltazione alla depressione, calcisticamente parlando? In casa Atalanta, sei giorni. Lo spazio che intercorre dal pareggio in casa della Roma dopo un primo tempo da stropicciarsi gli occhi per la bellezza delle trame del gioco della Dea alla sconfitta interna contro il Cagliari dovuta a una squadra che semplicemente non c’era con la testa. Perché le menti di tutti erano rimaste al «Parken Stadium» di Copenaghen, a quella palla che non ha voluto entrare nella porta della formazione danese, a quella maledetta lotteria dei rigori, a quella bruciante eliminazione dai gironi dell’Europa League 2018/2019. Una mazzata psicologica difficilmente recuperabile nel giro di sole 72 ore e infatti l’Atalanta scesa in campo domenica scorsa è stata lontanissima parente di quella che da due stagioni a questa parte sta ricevendo i complimenti di tutti gli addetti ai lavori.
Ora vi sono due settimane di sosta benedetta, l’ideale per elaborare il lutto sportivo e rituffarsi in campionato concentrati al 101%. Due settimane di duro lavoro fisico e – soprattutto – mentale. Ma anche due settimane di ricerca. Ricerca di un fattore che ha sempre caratterizzato l’Atalanta e l’ambiente atalantino ed è stato principale fautore dei successi delle ultime due stagioni: l’umiltà. Il Presidente Percassi l’ha sempre ribadito e l’ha ribadito nuovamente alla vigilia di questo campionato: ok i sogni europei, ma prima di tutto la salvezza.
Opinione e pensiero più che legittimo, quello del numero uno della società bergamasca. Ma, da qualche tempo a questa parte, per una parte dello splendido tifo atalantino sembra che nominare la parola “salvezza” sia quasi un delitto di lesa maestà. D’accordo, ci sono le dichiarazioni di Gasperini di Ferragosto, quelle in cui il tecnico afferma che ora come ora è incoerente parlare di salvezza.
Ora, lungi da noi mettere in discussione quanto di buono ha fatto, fa e farà – di questo ne siamo arciconvinti – Gasp con l’Atalanta, ma neanche lui è il depositario della verità assoluta. La Dea è la Regina delle Provinciali ma nel corso dei suoi quasi 111 anni di storia di stagioni dove alcuni obiettivi sono stati palesemente dichiarati per poi essere bocciati dal campo (un esempio per tutti, l’Atalanta versione 1993/1994 con l’acquisto del tanto strombazzato Franck Sauzée, i tifosi neroblu hanno già capito) ve ne sono state.
Perciò, affermare che il primo (occhio all’aggettivo numerale ordinale, primo non significa assolutamente “unico”) obiettivo dell’Atalanta 2018/2019 è la salvezza non deve essere interpretato come un disconoscimento dei valori tecnici della rosa ma come una pratica da chiudere nel più breve tempo possibile. Nella logica del “passo dopo passo”. Poi, una volta ottenuta, si ragionerà d’altro.