Un crollo che accresce dubbi, cresciuti sull’erba di Wimbledon. La caduta di Roger Federer a Flushing Meadows contro Millman fa più rumore di uno scricchiolio nato in tempi non sospetti, ai quarti dell’All England Club, contro un Anderson che sta dimostrando negli ultimi 12 mesi di essere un tennista di tutto rispetto e di un certo calibro. In Inghilterra è accaduto tutto all’improvviso, come negli States: lo svizzero ha visto il cielo sgombro prima della disfatta, in vantaggio di un set con la sicurezza di non aver concesso neanche un parziale nel torneo. Sicurezza non bastevole.
In America non accadeva dal 2013 che Roger uscisse a questo punto del torneo, agli ottavi; allora il carnefice fu Tommy Robredo. Oggi invece è un australiano ventinovenne mai pervenuto dai radar del tennis che conta. Questo ragazzo entrerà nei primi 40 da lunedì, qualunque cosa succeda, Federer dovrà invece riflettere nuovamente sui motivi di una débâcle inaspettata. Sicuramente sul banco degli imputati c’è la tenuta mentale, oltre che caldo ed umidità, alibi tirati in ballo dallo sconfitto. Il campione elvetico conduceva senza apparenti problemi, aveva affrontato già un tabellone competitivo, superata brillantemente l’insidia Kyrgios in tre set. Poi due occasioni fallite di archiviare il secondo parziale con il servizio, punti che avrebbero ammazzato di fatto la partita, altre chance gettate alle ortiche, nel terzo (set point) e quarto parziale (due palle del 5-2), quando è tremata la mano nel momento della verità. Quella del suo avversario è rimasta ferma al contrario, in 4 set che ricorderà per tutta la vita. In mezzo tanti, troppi gratuiti (77) per il cinque volte campione di New York. Titoli che aveva conquistato consecutivamente, un titolo che gli manca però da dieci anni ormai.
Neanche il tempo di celebrare il colpo magico che aveva lasciato incredulo Kyrgios, che ora tutti rimangono senza parole per il tonfo del re. Chissà cosa starà pensando lui, che scongiura il ritiro e illude che la sua arte possa durare per sempre. Ma dopo il fallimento della strategia che l’anno scorso lo aveva portato a vincere quasi tutto, quella di concentrarsi sulle sue superfici, Roger dovrà rivedere i suoi piani. A ogni modo, ricordiamolo: stiamo sempre parlando di uno che dopo aver vinto tutto sta mettendosi ancora in gioco a 37 anni. Un campione che solo l’ultima stagione aveva ritrovato una leggiadria metodica, mentale e tecnica, come antidoto per sfatare il tabù Nadal, tornando a vincere uno slam dopo 5 anni, gli Australian Open. Poi successivamente l’acuto di Wimbledon e un altro trionfo in Australia a inizio anno. Bisogna avere molto rispetto e delicatezza per parlare delle sue incrinature e dei suoi cali, insomma. Fatto sta che questo “intoppo” non si può proprio ignorare.