Primo Piano

I grattacapi di Ancelotti e del suo Napoli. Non solo la tattica

Due rimonte di carattere, due partite non giocate in maniera eccelsa ma due vittorie che hanno regalato gioie e messo in secondo piano alcune difficoltà classiche di inizio stagione in una gestione tecnica rinnovata.

Poi il macigno di una sconfitta tanto netta quanto preoccupante. Il Napoli visto a Genova è una squadra che nella sua interezza non ha convinto, una squadra sfilacciata, poco compatta, poco lucida e a tratti disorientata in alcuni meccanismi tattici. Come se quelle due prime vittorie invece di essere da sprone a migliorarsi, dando sicurezza nei propri mezzi nonostante alcune evidenti criticità, siano state da alibi a un gruppo svogliato per sedersi sugli allori dei sei punti conquistati contro squadre di un certo spessore come Lazio e Milan. Napoli è una piazza calda e passionale, a volte immatura e irrazionale su certi aspetti, ma è anche una città che vive di calcio e sa di calcio. I tifosi partenopei non chiedevano alla gestione Ancelotti di partire subito bene e a mille, ma che invece di crescere e migliorarsi la squadra faccia passi indietro non lo accettano e ne hanno ben donde.

Campanelli d’allarme sono gli atteggiamenti dei giocatori sul terreno di gioco. A partire dal simbolo di questo Napoli: Lorenzo Insigne. Nervoso, altezzoso e un po’ arrogante con i compagni, soprattutto con Verdi, alla sua prima da titolare in una gara ufficiale. Ormai Insigne è un senatore e in assenza di Hamšík portava la fascia di capitano a Marassi. In uno spogliatoio esistono le giuste gerarchie che devono essere rispettate dai più giovani o dai nuovi arrivati e questo è un dato collaudato, e riteniamo anche che sia giusto. Ma probabilmente c’è anche un problema di leadership se invece di prendere per mano e incoraggiare un compagno di squadra (che tra l’altro è un calciatore molto valido) ci si lamenti di continuo con lui di alcune scelte o giocate. Soprattutto, poi, se lo fa uno come Insigne che è sì un simbolo ma anche un calciatore che spesso prende decisioni sbagliate con giocate senza un perché. Non è una critica tecnica all’esterno di Frattamaggiore, è un giocatore estroso capace di fare vere e proprie magie con il pallone, ma commette diversi errori di valutazione durante le partite. Ecco che se il rimbrotto arriva da lui allora è tutto il sistema di squadra a perdere di credibilità, ognuno comincia ad andare per sé e quello spirito di sacrificio per il compagno sparisce.

A rendere ancora più chiara la situazione creatasi in campo, nel primo tempo di Samp-Napoli, è stato il doppio cambio all’intervallo di Ancelotti: fuori Insigne e Verdi, dentro Mertens e Ounas. Un cambio poi giustificato con le doti dell’algerino e del belga di saltare in dribbling avversario. Ma con raziocinio un allenatore del suo calibro non si priverebbe mai di due pedine così importanti che possono decidere una partita con una giocata. C’è stato evidentemente qualcosa di più in quel cambio, non solo una scelta tecnica.

Saranno dieci giorni di passione, non sappiamo cosa sia già accaduto nel dopo partita e cosa accadrà a Castel Volturno al ritorno dalle convocazioni. Una sconfitta ci sta, non cade il mondo per una serata “no” e tirarci somme negative è ingeneroso quanto sciocco, ma è chiaro che oltre ai meccanismi da affinare in chiave tattica, Ancelotti dovrà lavorare su un aspetto che fin qui sembrava non dare grattacapi: la gestione di un gruppo e della sua leadership.