Una corda tirata sin dall’esordio stagionale che, alla fine, si è spezzata. La prima sconfitta dell’era Ancelotti al Napoli si è trasformata in una disfatta totale nella notte di Genova, contro una Sampdoria schierata a meraviglia da Giampaolo e decisamente tutt’altra squadra rispetto a quella vista settimana scorsa a Udine. E mentre i blucerchiati possono godersi le prime due perle di un Defrel finalmente immerso nell’ambiente giusto per tornare ai suoi livelli e il capolavoro di Quagliarella di tacco, oltre alle ottime prestazioni di tanti dei nuovi innesti (dalla coppia centrale Andersen-Tonelli, fino a Ekdal), ai partenopei rimane ben poco di positivo da portare con sé in Campania.
Il copione della gara del Napoli, in realtà, è stato simile a quello già visto contro Lazio e Milan: ad essere stato diverso, stavolta, è stato il finale della storia. Anche a Genova, gli azzurri si sono presi il lusso di giocare davvero, ai livelli degni di una grande squadra, solo nella ripresa, quando la situazione si era già pericolosamente complicata con il doppio svantaggio firmato Defrel nei primi 45′. Del primo tempo dei partenopei ci rimane soltanto il ricordo di una squadra senza idee in attacco, disordinata e lacunosa in difesa, spesso in evidente difficoltà di fronte all’aggressività a tutto campo di una Sampdoria di grande cuore e con buona gamba. I partenopei, insomma, sembravano destinati a doversi affidare alla strategia già utilizzata nelle ultime gare: lasciar sfogare l’avversario, anche a costo di soffrire, per poi emergere con il passare del tempo e conquistare il bottino pieno sfruttando il resto della partita. Ma il piano dei campani stavolta è fallito miseramente.
Alla fine del primo tempo, Ancelotti ha fatto la “solita” sfuriata negli spogliatoi, per poi bocciare senza possibilità di appello l’esordiente Verdi, ancora poco integrato negli schemi di gioco della squadra, e uno spento Insigne, affidandosi così a un nuovo ribaltone tattico, anche più clamoroso di quello visto settimana scorsa: fuori i due esterni titolari, dentro Mertens e, più a sorpresa, Ounas, premiato in parte anche grazie ai ricordi dell’ottimo pre campionato. E i partenopei, schierati con il passare dei minuti ancora una volta con il 4-2-3-1 e trascinati dal buon impatto dei due neo entrati, tornano a volare per gran parte della ripresa, iniziando finalmente a giocare con maggior velocità e a prendere campo a una Sampdoria costretta a rifiatare dopo le fatiche del primo tempo: insomma, sembrava davvero una storia simile a Napoli-Milan.
Ma se i rossoneri avevano finito per sfaldarsi con il passare dei minuti, cadendo nella trappola così ben preparata da Ancelotti, gli uomini di Giampaolo sono riusciti a fare proprio l’opposto: la squadra si è compattata in difesa, chiudendosi alla perfezione senza abbassare troppo il baricentro e limitando al massimo le sortite offensive avversarie, per poi tentare qualche contropiede a fiammate. Di fronte, il Napoli si è così trovato un muro quasi invalicabile, finendo per rimanere spiazzato da quelle enormi difficoltà nel pungere gli avversari che finora mai aveva incontrato. E nel momento in cui è arrivata la consapevolezza generale che stavolta l’impresa non sarebbe stata possibile, la gara degli azzurri è finita davvero: il finale di Marassi si è trasformato in un miscuglio tra nervosismo generale, con i ragazzi di Ancelotti profondamente frustrati dal gioco fisico dei blucerchiati, e la gioia del pubblico di casa, culminata nella standing ovation dello stadio per omaggiare lo splendido tacco al volo di Quagliarella.
Il Napoli si ritrova così a dover fare i conti per la prima volta con i fantasmi dell’inizio della stagione: la difesa è lontana anni luce da quella linea meravigliosamente ordinata sotto le direttive di Sarri (6 reti subite in 3 gare, solo il ChievoVerona ha fatto peggio), il turnover non è ancora all’altezza di una “big” del calcio europeo e l’approccio alle partite resta lento, macchinoso. Il motore dei campani è troppo lento a scaldarsi e nel calcio moderno non c’è pietà per chi attende anche solo un istante in più del dovuto. Stavolta, l’esperienza di Ancelotti e le alternative di lusso in panchina non sono bastate per colmare il vuoto lasciato da un primo tempo di buio quasi totale: per il Napoli arriva la prima, pesante lezione della propria annata. Probabilmente necessaria per tornare al lavoro con uno spirito diverso dopo la pausa per le Nazionali, senza le distrazioni portate da quel clima di ingannevole entusiasmo che sembrava aver allontanato le grandi lacune viste durante le amichevoli estive: la disfatta di Genova, insomma, sembrava ormai nell’aria. Ed è arrivato il momento di liberare questo Napoli dal ricordo di Sarri e trasformarlo, finalmente, nella squadra di Ancelotti.