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ESCLUSIVA – Intervista a Luigi Fresco, presidente e allenatore della Virtus Verona

Hegel sosteneva che ogni fatto che si realizza ha la ragione del suo verificarsi e che ciò che accade è giusto, logico e naturale che accada. Per questo, forse molti hanno definito la storia di Luigi Fresco e della Virtus Verona una “anomalia” nel panorama calcistico nazionale. Perché spesso ci abituiamo a ciò che di brutto ci offre il mondo e ci sorprendiamo di fronte a storie come queste, tanto da definirle anomalie e non più sinceramente “esempi da seguire“.

Prima di lei il presidente fu il compianto Sinibaldo Nocini, che a sua volta diresse il club per venti anni. Una delle sue celebri frasi fu: “È fondamentale, anche attraverso la pratica agonistica, creare degli uomini, se poi nascono anche degli atleti meglio ancora. È importante soprattutto far divertire i ragazzi appunto attraverso il gioco”. Quando questa frase descrive il vostro spirito? 

È la perfetta sintesi dei valori e dello spirito ‘virtussino’, come lui amava chiamarlo. E anche adesso che ci troviamo in categorie superiori ci ispiriamo quotidianamente a questa filosofia di vita che io da lui ho imparato. Fin da piccolo frequentavo casa sua e stavamo spesso insieme: un uomo sempre pronto ad aiutare tutti e io mi riconosco molto nella sua figura. Cerchiamo di essere custodi del suo stile, del suo modo di essere e della sua passione.

Ora, fingiamo per un momento di possedere una macchina del tempo e di potere tornare all’anno 1982 quando iniziò la sua avventura alla guida del club. Qual era la situazione, con chi si trovava, cosa vi dicevate e quali erano i vostri sogni ed emozioni?

Nocini aveva mollato da due anni e di fatto eravamo un gruppo di ragazzi a gestire la società: io ero il responsabile del settore giovanile da tre anni e la Prima Squadra stava retrocedendo in Terza Categoria. Cercai di salvarla ma non ci riuscii: a quel punto, ci riunimmo in assemblea e presi un sacco di voti; così diventai presidente e non avrei mai pensato di arrivare dove siamo oggi. Abbiamo scalato tante categorie, ma se me lo avessero detto allora, non ci avrei creduto.

Ovviamente, negli ultimi mesi si è parlato tanto di lei e noi non siamo certo i primi a intervistarla. L’essere presidente e allenatore fin dal 1982 l’hanno definito una anomalia e, invece, per gli amanti del calcio di provincia, fatto di sudore e polvere, magari, dovrebbe essere quasi una regola o un esempio da seguire. Insomma, una storia che forse supera persino quella di Cesare Albè e della Giana Erminio. Come vive questa notorietà e soprattutto come la gestisce nei confronti dei suoi giocatori?

Cerco di distrarla questa cosa: ho sempre paura di questa mia notorietà e non vorrei che incidesse più di tanto e offuscasse lo splendido lavoro del mio staff. Io mi circondo e ritengo di avere scelto le persone giuste con le quali condividere questo percorso, persone molto in gamba che mi aiutano tantissimo nella gestione quotidiana del club. Ecco, se ho un merito, per quanto mi riguarda, è proprio questo.

Chi non la conosce, potrebbe pensare che lei sia il classico imprenditore che investe nel calcio. E invece è un dipendente statale: come si riesce a gestire un club e farlo approdare tra i professionisti senza dovere essere necessariamente un milionario? Allora, è possibile fare calcio in maniera oculata e intelligente senza dover necessariamente, a un certo punto, fare fallire club anche prestigiosi? Come è riuscito nell’impresa?

Si può riuscire solo con la politica dei piccoli e decisivi passi, migliorando un po’ alla volta senza smania di grandezza. Solo così si può crescere con quello che si ha a disposizione, correggendo qualche errore che man mano si può commettere. E poi, mi ripeto, circondarsi di persone valide e affidabili è fondamentale nel percorso di miglioramento.

La Virtus è anche molto di più: una scuola per tanti ragazzi, esiste anche una seconda squadra che milita in Promozione. I valori, l’educazione, la formazione inutile dire che siano elementi importanti ma come si riesce ad entrare nei cuori e nella vita dei ragazzi?

Frequentandoli tutti i giorni dentro e fuori dal campo, andare spesso a cenare insieme e passare tanto tempo insieme.

Inoltre, attività extra calcistiche per inserire i ragazzi di colore nella società veronese. Un impegno, una missione? Quanto sono importanti queste attività nella vita di tutti i giorni per il club e per gli uomini che ne fanno parte?

Anche questo allarga i nostri orizzonti: con persone in gamba, aperte mentalmente, è anche più facile fare calcio. Ricordo che lo diceva sempre il mio amico Osvaldo Bagnoli quando il Verona vinse lo scudetto.

Passiamo all’attualità. Il calcio di provincia che a noi sta così a cuore come lo si può salvare? I continui ricorsi, fallimenti, tribunali, incertezza, ripescaggi, il caos più assoluto. Nel momento in cui qualcuno celebrava l’arrivo di Ronaldo in Italia come fosse l’inizio di un’era di ritorno dei grandi campioni nel nostro paese, tutto il resto andava a rotoli sotto lo sguardo impietrito di migliaia di tifosi, da Nord a Sud. Che idea si è fatto adesso che vive tra i professionisti? Esiste un rimedio?

Ci vorrebbe più severità da parte di chi controlla; poi, ognuno fa ciò che meglio crede. Certe irregolarità vanno pagate nel campionato in corso: non è possibile che il Cesena si salvi dopo quello che ha combinato, l’Entella retroceda e poi venga ripescata una terza squadra; piuttosto, si salvi l’Entella. O salvare squadre che non pagano i giocatori: c’è tanta incoerenza nel sistema. Inoltre, dalla D alla Serie C c’è un salto troppo grande ed eccessivo, in pratica è come ritrovarsi improvvisamente in Serie A: in D non si pagano i contributi previdenziali ai calciatori, per esempio, e in C ti ritrovi subito molte più spese. A livello burocratico è una cosa pazzesca: per esempio, abbiamo dovuto spendere milioni di euro per sistemare il campo e adeguarlo alle normative. È un salto allucinante passare dalla D alla C, una cosa spaventosa. Ci vorrebbe un passaggio intermedio, magari una specie di semiprofessionismo che consenta una gradualità che faciliti la gestione.

Infine, domenica ci sarà l’esordio, seppure si tratti della prima gara di Coppa Italia di categoria, contro il Pro Piacenza. In generale, sempre che si riesca a trovare la quadra per iniziare il campionato, quali sono gli obiettivi e, perché no, i sogni nel cassetto. La Virtus ha già definitivamente realizzato un sogno oppure no?

La gara di Coppa la stiamo preparando con molta serenità: pur essendo importante, la consideriamo come una propedeutica al campionato. Comunque, se perderemo è perché loro sono stati più bravi, non perché ce ne siamo fregati. In generale, sicuramente, l’obiettivo principale è la salvezza; poi, magari, nell’arco di tre o quattro anni provare a fare un altro salto in su, ma, come dice Lucio Battisti: ‘lo scopriremo solo vivendo’.