Chi segue il calcio brasiliano lo conosce già da qualche anno: craque do Corinthians, ha vinto il Brasileirão da giovanissimo, nel 2015, con il Timão 10 gol in 73 partite. Sì, ha talento Malcom, e una personalità forte, e un’ambizione enorme. Sembrava dovesse arrivare in Italia, in quella Roma già casa di grandi brasiliani come Falcao, Cafu, Aldair. Invece, per un pugno di milioni, se ne va a Barcellona, a giocare con Messi, sperando di raccogliere l’eredità di Neymar. Non critichiamo il ragazzo, dopotutto chi direbbe di no al fascino emanato da un club del genere? Critichiamo la scomparsa delle buone maniere, quelle che storicamente, dove abbondano i milioni, hanno sempre imposto le loro regole. Chi non si è mai considerato un gentleman, almeno una volta nella vita? Un mazzo di rose rosse, un anello mostrato in ginocchio, una cena offerta agli amici. Questione di stile, ciò che i soldi non dovrebbero riuscire a comprare, o a trasformare. Anni fa, si duellava per una donna, o perfino perché non si lasciava il passo: la precedenza era questione di rispetto. Se passo prima di te, vuol dire che tu rispetti me e il blasone che mi porto appresso. Ovvio, parliamo di un’epoca che non c’è più, di contesti totalmente diversi, di tempi arcaici e scomparsi. Viviamo in un’altra Terra oggi: più frenetica, più condivisa, più connessa. Bramosa di fama e di ricchezza, strettamente collegate l’un l’altra, e di personaggi che in quest’epoca ci sguazzano, crescono, e accrescono i loro benefici morali e materiali grazie a storie da raccontare più verosimili che vere.
Personaggi che si sono arricchiti grazie a questo show di maschere chiamato calciomercato, che a quanto pare diverte, e fa rumore, e produce chiacchiere, di conseguenza interesse e interessi, = soldi, tanti, milioni, che finiscono nelle casse di giocatori, procuratori, intermediari, amici di qualcuno, conoscenti fidati, fonti segrete, spesso neanche dichiarati. È una fabbrica di notizie che piace, che crea entusiasmo, sdegno, polemiche, sui social e nei bar, e in questo caso queste polemiche fanno vendere birre e amari, creano discussioni, allungano la permanenza ai tavolini e i gestori ne sono felici. Se Malcom non va più alla Roma, quanti mortacci a Trastevere; Aurelio e Mario ne parlano al Bar dello Sport, le Peroni ghiacciate scivolano giù sotto il caldo capitolino e le gesta dei tifosi incazzati. In tv e in radio si susseguono programmi no-stop e no-limits, nei locali son tutti connessi, e volano altre birre, e si alza l’audience, e il giro di soldi cresce, e lo sdegno aumenta per un Barcellona che ha strappato un talento che a giugno conoscevano in due o tre, ma che adesso per tutti è il nuovo Pelé che ha preferito la Liga alla Serie A, e allora noi non saremo mai all’altezza di nessuno, il calcio italiano “fa schifo, te lo dico da sempre”, e Ronaldo è qui perché ormai è vecchio, e pure se non è vecchio è della Juve, che lo userà in Champions, dopotutto la lotta scudetto è già roba chiusa a luglio.
Voci e chiacchiere, che per osmosi si propagano a macchia di leopardo in un’Italia che parla di calcio, lo vive per tradizione. Ma tutto parte dall’alto, da coloro che hanno le mani in pasta, e impastano talmente bene che la pizza Malcom passa fumante dal tavolo 1 (laddove Monchi era già imbavagliato e pronto a inforchettare) al tavolo 2, ripresa in extremis dal cameriere prima ancora che @leonsfdo tagliasse il primo spicchio. Presa e portata al presidente di un Barcellona arrivato in ritardo, sì, ma comunque in tempo per mangiarsela, di gusto, lui e non Monchi. Poteva scegliere qualsiasi altra pizza il Prez blaugrana, invece ha scelto proprio quella lì, non una simile: proprio quella che stava per mangiarsi quell’altro. Voleva quella, la pagava di più, sapeva che quella pizza sarebbe stata più felice nel farsi digerire in volo verso la Catalogna, l’ha pretesa, l’ha mangiata.
Il mondo è grande, e di pizze e talenti ce n’è un mare in giro. Malcom, nonostante l’ufficialità data sui social sia dalla Roma che dal Bordeaux, finirà a comporre con Messi e Suarez un MSM che farà vendere giornali, maglie, biglietti, birre di felicità e di sdegno. Ma è così che funziona, è così che girano le cose, oggi. Lo stile, quello, è roba di un’altra epoca. Tant’è: pecunia non olet sussurrava Svetonio, qualche migliaio di anni fa; figuriamoci in questi tempi moderni, in cui ogni cosa può diventar fattura.