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La caduta del Re, la rinascita di Nole, i rimpianti di Anderson. Giù le luci a Wimbledon 2018

Yuri Turkov / Shutterstock.com

Il non nuovo che avanza, anzi risorge. Può essere parafrasato così il verdetto principale di Wimbledon 2018. I riflettori erano puntati su Federer e Čilić, senza dimenticare Nadal, il palcoscenico se lo è preso invece Djoković, che dopo mesi di ripresa costante, ha potuto finalmente esibire un sorriso disteso sul Centre Court, il cui pubblico aveva già smesso di piangere per l’assenza del beniamino di casa, Andy Murray, ormai rapito da altre storie. Non quelle di enfant-prodige probabilmente. All’ All England Club, infatti, nessuna fioritura netta dei giovani talenti, come Kyrgios, Zverev, Shapovalov, Ćorić: lo slam londinese è stato appannaggio degli over 30, semifinali e finale hanno piuttosto riservato uno spettacolo molto gradevole tra “vecchietti”.

Il Re elvetico non molla la presa sulle ambizioni future, ma il crollo con Anderson ai quarti del suo slam prediletto è emblematico. È bastato l’insinuarsi del dubbio per trasformare una giornata normale in un bad-day che potrebbe significare molto nella prosecuzione della sua carriera. La preparazione accurata, l’opera di selezione delle stagioni del circuito, questa volta hanno fallito nel loro scopo: il Wimbledon di Federer è una caduta abbastanza rovinosa. I prossimi Us Open assumeranno un’importanza fondamentale per testare la voglia e la capacità del Maestro di potersi attestare ad altissimi livelli.

Čilić poteva coronare 12 mesi di alto livello con il suo primo successo nel major inglese: il croato, dopo due finali major perse contro Federer in un anno, ha invece mancato l’appuntamento con la sua definitiva consacrazione, cadendo sotto i colpi di Guido Pella, uno che sull’erba non può vantare un curriculum proprio d’eccezione. Al suo fallimento si accodano quelli di Ćorić, che dopo aver rovinato la festa a Federer a Halle non ha superato lo scoglio Medvedev al primo turno; quello di Kyrgios, annientato al terzo turno da un Nishikori propositivo, ma non esattamente un lupo di mare della superficie. A Dimitrov invece salteranno definitivamente i nervi quando qualcuno lo chiamerà ancora baby Federer, il bulgaro ha accusato anche in questa occasione gli oneri di un’etichetta forse troppo azzardata. Fra il dire e il fare c’è di mezzo il mare: questo detto invece vale per coloro che valutano Zverev un tennista che possa sfondare davvero sull’erba, o esplodere definitivamente negli appuntamenti che contano; il talentuoso tedesco è infatti ancora lontano dal recitare un ruolo di attore protagonista in uno slam.

Questi soltanto alcuni dei flop, racchiudendo in un’altra voce quelli che, dopo Parigi, smettono di recitare la parte del leone (ammesso che l’abbiano fatto) per oscurarsi definitivamente nella seconda parte del circuito. Ogni riferimento ai Thiem e ai Goffin è puramente casuale. Non sono casuali invece i buoni risultati dei semifinalisti: che dire di Nadal, che dopo le fatiche sulla terra e la rinuncia ai tornei di preparazione è andato vicinissimo alla finale. Non un cammino sgombro quello del maiorchino, che costretto ad abbandonare il tappeto di velluto della stagione primaverile ha sfoggiato invece l’altra specialità della casa, una reattività estrema nei momenti di sofferenza, unita a una condizione atletica invidiabile. L’incrocio con l’ottimo Del Potro ha offerto grande spettacolo, quello con Djoković ha assunto invece contorni epici, con un epilogo che azzarderei a definire quasi fortuito, nel senso che nessuno si sarebbe stupito qualora fosse stato il principe del ranking a staccare il pass per la finale.

Ultimo atto che ovviamente è stato inficiato dalle estenuanti fatiche di Kevin Anderson, il quale si è presentato all’appuntamento della vita contro il serbo, con alle spalle più di 11 ore di battaglie estenuanti. Dopo aver detronizzato Re Roger con un’epica e insperata rimonta ai quarti, aveva scritto una nuova pagina di storia aggiudicandosi il secondo match più lungo della storia del tennis contro Isner, detentore insieme a Mahut del record di durata all time. Il prezzo di un grande tennis a resistenza provata, che gli hanno consentito di giocarsi la seconda finale slam della carriera a 32 anni solo in condizioni di equilibrio precarie. Peccato per lui, ma anche per Isner: è stato atroce ma inevitabile non poter decretare un pareggio in un’epica semifinale, scaturigine già nel suo svolgersi di dibattiti e polemiche: sulla necessità di istituire il tie-break al quinto, sulla questione tetto del centrale che ha inciso direttamente però sull’altro incontro, quello fra Nadal e Djoković.

Veniamo al serbo, sorpresa ma non troppo di questo torneo. Non ancora ai livelli di dominio toccati in passato, ma sicuro, solido, sempre meno traballante. I 5 set con Nadal sono stati la prova del nove per la resistenza fisica e nervosa di un campione ritrovato: Nole è tornato a incidere in ribattuta, a far risplendere le sue sopite qualità, a vincere nel posto migliore possibile, a sua detta. Che la vittoria a Wimbledon sia una rondine che rifà primavera, è presto per dirlo: ma una cosa è certa, questo trionfo si colloca in cima a un percorso di coraggiosa risalita che ha dato i suoi frutti sull’erba londinese e che lo rivede di nuovo in top 10.

Capitolo azzurri. Ci si aspettava una buona prova di Cecchinato, che però da testa di serie è caduto contro il giovane e talentuoso De Minaur: ci può anche stare dopo le magie viste a Parigi. Applausi per Fabbiano, che dopo le qualificazioni è riuscito a vincere due partite nel tabellone principale: l’ultima contro un Wawrinka che aveva solo illuso di essersi ripreso, debellando al primo turno Dimitrov. La corsa del tennista pugliese si è fermata poi contro la giovane promessa Tsitsipas, verso cui le sensazioni sono positive: si sentirà ancora parlare del tennista greco, finalista quest’anno a Barcellona. Da Fognini ci potevamo aspettare di più alla vigilia della sconfitta ai sedicesimi contro Vesely; dopotutto, gli ingredienti che mancano per l’ avvicinamento al vertice di un talento purissimo già li conosciamo. Bolelli sconfitto dall’amico e compagno ligure si ricorderà invece della bella vittoria contro Pablo Cuevas. Berrettini potrà essere soddisfatto per aver battuto un Jack Sock lontano dalla forma esibita alla fine del 2017, Seppi, potrà raccontare di aver fatto sudare un po’ Kevin Anderson al secondo turno di Wimbledon 2018. Sbarramento del primo turno per Sonego, che si è arreso all’americano Fritz dopo una bella vittoria contro Gulbis nelle qualificazioni.