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Caro Mondiale, ti scrivo…

Caro Mondiale,

Alla fine, siamo arrivati alla conclusione anche di questa avventura in Russia e di questo mese, volato via in un’estate meno torrida rispetto ai soliti livelli di giugno-luglio, ora non rimane che un dolce ricordo da portarci con noi. Sei stato un Mondiale per certi versi strano, inconsueto, perché in tanti tra noi italiani ti abbiamo seguito per la prima volta nella nostra vita da spettatori “terzi”, senza essere trascinati dalle emozioni che si provano con la propria Nazionale in corsa. Ammettiamo di essere stati anche un po’ gelosi quando su internet o in televisione circolavano le immagini di intere piazze con il fiato sospeso per un rigore o furiose per un errore dei propri beniamini, in festa o disperate, meravigliosamente unite dai colori della propria Nazionale. E anche se in molti hanno ripetuto per mesi che si sarebbero rifiutati di vederti perché motivo di troppo grande rammarico dopo la mancata qualificazione degli Azzurri, la realtà, fortunatamente, è stata un’altra: anche questo Mondiale ci ha fatto divertire e appassionare ancora di più a questo sport.

Alla fine, abbiamo trovato il coraggio di seguirti. Qualcuno da casa, al rientro da una giornata di lavoro o intervallando le ultime fatiche scolastiche in piena sessione estiva all’università o durante la temuta maturità, qualcun altro al bar davanti a una birra e un panino, altri ancora da quei lidi di tutta Italia ed Europa che lentamente hanno iniziato a riprendere vita, entrando nel pieno della stagione estiva. Ti abbiamo visto, commentato, a volte criticato; qualcuno ha anche timidamente tifato, rivolgendo le proprie simpatie a qualche altra Nazionale, vuoi per qualche lontana parentela straniera, vuoi per l’ammirazione provata per la storia di alcune squadre o le loro rose, vuoi anche solo per pura compassione verso la sfavorita di turno.

Partimmo dal clima d’attesa e la trepidazione dei giorni precedenti all’inaugurazione, sfociati al momento dell’inno russo, cantato a squarciagola da tutto il Luzhniki di Mosca, prima che la Nazionale di Cherchesov spazzasse via un’Arabia Saudita tatticamente quasi improvvisata. Da quel momento, è cominciata quella magia di colori, inni e cori che solo un evento come il Mondiale sa regalare, mentre in campo esordivano una dopo l’altra le squadre partecipanti con il sogno di regalare una gioia ai propri connazionali che li guardavano da casa.

È stato il Mondiale della Francia, capace di prendersi la rivincita dalla delusione di due anni fa agli Europei con un cammino solido e da squadra dalla maturità straordinaria, con una rosa completa e ricca di talenti: tra questi, c’era persino chi portava con sé una storia da raccontare e da portare alla ribalta, come quella del miglior talento del torneo Mbappé, il ragazzo cresciuto nelle banlieu parigine e diventato uno dei giocatori più forti del mondo a soltanto 19 anni. È stato senza dubbio il Mondiale di Croazia e Belgio: un percorso senza lieto fine, ma segnato da tappe destinate a rimanere nella loro storia, tra eliminazioni clamorose e prestazioni spettacolari, simboli di due generazioni che hanno regalato a queste Nazionali alcuni tra i più forti talenti in circolazione. E nelle rispettive patrie, fortunatamente, i tifosi hanno capito la portata dell’impresa compiuta: e così, mentre gli uomini di Martinez venivano ricevuti da re Filippo e dalla regina Matilde, i giocatori croati sul pullman a tetto scoperto venivano accolti dal proprio pubblico in un clima di festa nazionale. Come se la finale di Mosca, alla fine, l’avessero vinta loro.

Ma è stato anche un Mondiale ricco di sorprese, alcune realizzate e altre rimaste incompiute: dalla solidissima Svezia di Andersson, che ha smentito sul campo chi l’aveva sottovalutata, convincendosi che al Mondiale ci fosse arrivata per un puro caso fortuito al posto dei nostri Azzurri, alla Russia, che ha onorato il proprio pubblico con prestazioni di grande cuore e tenacia, riuscendo ad andare ben oltre le aspettative di tanti tifosi e regalandosi un passaggio del turno da sogno, fino a eliminare la Spagna dei campioni; dal Messico, autentico gioiello tattico del ct Osorio fermato solo da un Brasile troppo forte e ricco di talenti, all’Iran, che ci ha tenuti attaccati davanti al televisore fino all’ultimo secondo, quando l’impresa di arrivare davanti a Spagna e Portogallo nel proprio girone sembrava davvero possibile.

Non è stato il Mondiale di tante “big” come la Germania, arrivata come campione in carica e uscita clamorosamente tra le lacrime ai gironi senza lasciare alcun segno della sua presenza in Russia, diventando l’ennesima vittima di una maledizione che ha colpito tutte le vincitrici delle precedenti edizioni come Spagna e Italia; così come non lo è stato per la Spagna, scombussolata dall’improvviso esonero di Lopetegui a poche ore dal via e arrivata alla fine di un ciclo dal passato vincente, ma ormai andato evidentemente oltre i propri limiti, e nemmeno per i due campioni più attesi del torneo, i due fenomeni che si sono spartiti il Pallone d’Oro negli ultimi dieci anni: Cristiano Ronaldo e Messi. Il primo, trascinato nel baratro da un Portogallo che non ha saputo confermare la solidità della vittoria degli Europei; il secondo, uscito ancora una volta a testa bassa con la maglia dell’Argentina, incapace di imporsi come leader anche in Nazionale, abbandonando in maniera probabilmente definitiva il sogno di vincere la Coppa del Mondo. Ma è stato un Mondiale fallimentare anche per l’attesissimo Brasile: la squadra dei fenomeni, di Neymar, per tutti destinata a dominare il torneo si è scoperta ancora una volta troppo fragile, non abbastanza compatta ed esperta per avere la meglio nelle gare in cui l’asticella si è alzata.

Il Mondiale lo abbiamo respirato anche fuori dal comune terreno di gioco, in un continuo flusso di sentimenti. Ci siamo commossi davanti alla forza di Tabarez, mai piegato dalla sua malattia e capace di dirigere i suoi giocatori, festeggiando e disperandosi come se non esistesse quel dolore che gli impedisce di rimanere in piedi senza una stampella. Abbiamo applaudito i gesti di fair play di tanti tifosi, come quelli di Giappone e Senegal, immortalati in numerosi filmati mentre pulivano le proprie tribune per non lasciare nemmeno una cartaccia per terra, dando una lezione a tutti noi che andiamo allo stadio tutte le settimane. Abbiamo sorriso davanti ai tentativi dell’Iran di battere le rimesse laterali in maniera acrobatica, al fotografo travolto dai giocatori della Croazia in festa dopo un gol in semifinale, all’ingenuo, ma tanto sentimentale tentativo dei giocatori di Panamá di battere velocemente il calcio d’inizio mentre gli avversari festeggiavano la rete segnata, mostrando di volersi godere ogni singolo istante di un’avventura unica e probabilmente irripetibile, onorando la propria maglia senza mollare, fino al primo gol storico che ha mandato in festa un Paese intero. O alle benedizioni davanti alla televisione di una signora messicana ai giocatori della propria Nazionale mentre venivano passati durante l’inno.

Grazie, caro Mondiale, per i festeggiamenti, le sorprese, le rimonte agli ultimi minuti, i gol e le giocate spettacolari, i trionfi degli svantaggiati di turno. Non ascoltare chi continua a guardare con nostalgia al passato, non riuscendo a liberarsi dei ricordi di un tempo che non c’è più, o di chi esclude da questo sport tutto ciò che non è schemi studiati a memoria, ritmi forsennati, difese insuperabili. Viva le sane imperfezioni, viva la passione di chi sente il peso di rappresentare un Paese intero, viva le estati passate a vedere in compagnia partite tutti i giorni per un mese intero. Viva il calcio, che non conosce confini e ci unisce nelle “notti di sogni, di coppe e di campioni”.