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Tempus fugit, Re Roger

Un tonfo che non può essere sordo, la caduta di Roger Federer sulla più che mai ruvida erba di Wimbledon è rumorosa, è un segno che può essere indelebile su questa era tennistica. C’è la promessa di riprovarci l’anno prossimo, un’altra, forse l’ultima occasione per arrivare a quota nove. Ma l’uscita ai quarti dei Championships contro Kevin Anderson fa male, a Roger come a tutto un popolo di appassionati; l’eliminazione brucia per le modalità, ma soprattutto per l’emissione di un verdetto che potrebbe essere ora ineluttabile. E sopra c’è scritto, purtroppo: fine.

L’inchiostro non è indelebile, Federer ha dimostrato di sapersi rialzare, ma i segnali del declino sono chiari. Non si parla strettamente di fisico e di fattori anagrafici, è il deficit di energie nervose a preoccupare maggiormente l’atleta e tutti i suoi tifosi, più dei punti che l’attuale #2 del ranking perderà nella nuova classifica ATP. Quest’anno la strategia di conservazione è stata la stessa di quella della scorsa stagione: ma se dodici mesi fa la scelta di saltare gli impegni sul rosso si era rivelata vincente, oggi l’otto volte campione all’All England Club deve ammettere il fallimento della sua riproposizione. Le occasioni, a sua stessa ammissione, sono state tante nell’ultimo incontro, e Roger non le ha colte proprio per la mancanza di uno “scatto” mentale. Chiaro comunque che testa e fisico vadano di pari passo nel determinare il successo o il fallimento di un’impresa agonistica.

Qualche scricchiolio, in questo senso, si era avvertito già a Stoccarda, nella prima uscita sul verde: Federer aveva vinto ma non convinto, così come ad Halle, dove la sua corsa si era fermata in finale contro un solido Borna Ćorić, poi squagliatosi al primo turno dello slam londinese. E proprio a Wimbledon i timori di un Re scarico si erano dissolti sin dal principio, l’orizzonte di vittoria era rimasto praticamente sgombro fino ai primi due set del match contro Kevin Anderson: nessun parziale concesso nel cammino, la striscia consecutiva di servizi mantenuti era salita addirittura a 85, quando nel secondo atto della sua tragedia sportiva, il sudafricano, finalista agli ultimi US Open, aveva instillato il primo dubbio, con il break ottenuto in apertura.

E la ventesima apparizione a Wimbledon di Roger è divenuta progressivamente amara quando l’eroe svizzero ha iniziato a sprecare davvero troppe opportunità: match point fallito grazie al servizio devastante dello spilungone sudafricano, occasioni del contro-break buttate al vento. Poi Kevin Anderson è salito in cattedra rendendosi autore di una rimonta epica, dimostrando che la finale di Flushing Meadows non era stata assolutamente un caso.

Da 2-0 a 2-3 per la quinta volta in carriera: Federer ha visto il suo destino colorarsi lentamente di nero, in una giornata che sembrava normale e che è invece si è tramutata in un incubo. E la caduta si è materializzata sul Campo numero 1, non nel giardino prediletto del Centre Court, il bad day di Roger Federer rischia inoltre di portare conseguenze più ampie di una semplice giornata storta. Perché sull’altro campo c’è un Nadal che dopo una maratona di quasi 5 ore la spunta su del Potro, prima di lui Djoković era diventato il suo sfidante in semifinale battendo senza tantissimi patemi Nishikori. La palla passa a loro, un match di grande lustro e aspettative cancellerà parzialmente il lutto che tutto il mondo del tennis vive per la caduta del suo re. Proietta lo spagnolo verso un cammino ancora più glorioso, verso una rincorsa slam al suo rivale di sempre. In finale uno dei due troverà un interprete inedito che insegue una favola dal lieto fine, difficile stabilire chi la spunterà tra Anderson e Isner che in sordina, nel frattempo, si era sbarazzato di Raonic: due cose sono certe, uno dei finalisti sarà molto alto e avrà un servizio d’acciaio; l’ultimo atto se lo giocheranno, loro, il sudafricano e lo statunitense, entrambi già nella storia di questo torneo. Il secondo per aver vinto l’incontro più lungo di sempre otto anni fa, il primo per aver determinato una delle più sonore sconfitte del Re di Wimbledon.

Roger, che dovrà invece raccogliere le idee e riflettere sul futuro, a questo punto ci starà pensando, mentre ascolterà nelle prossime settimane i segnali del suo corpo: lasciare il tennis, senza rovinare una reputazione che non deve essere scalfita dopo 20 anni di spettacolo assoluto.