Dopo l’improvvido pasticcio-Lopetegui e il deludente Mondiale, finito precocemente agli ottavi contro la non irresistibile Russia, in molti in Spagna si chiedevano se fosse giunto il momento di un cambiamento epocale. Sul banco degli imputati è finito il tiki-taka – uno stile di vita, più che un semplice modo di giocare – che aveva permesso alla Roja di trionfare in tre grandi tornei internazionali (Euro 2008, Mondiale 2010 ed Euro 2012), ma che oggi viene considerato vetusto, superato. Non a caso la partita che è costata l’eliminazione ha mostrato tutte le pecche del modello spagnolo, troppo lento per scalfire la pur non eccelsa difesa russa. A mancare sono stati principalmente i rifornimenti per l’unica punta, Diego Costa, ingabbiato senza troppi affanni da Ignashevich e compagni. D’altra parte il campionato del Mondo ha riportato alla ribalta la nobile arte del contropiede, sapientemente utilizzata da molti ct per fronteggiare avversari tecnicamente più forti. E la Spagna non è stata l’unica vittima illustre a cadere nella trappola.
Se ci pensiamo bene, il calcio è ciclico e non lascia scampo a chi non sa rinnovarsi e innovarsi. L’idea che uno stile di calcio possa resistere al tempo è pura utopia, se non vi si pongono continuamente degli accorgimenti. Ecco perché quella di Luis Enrique, appena ingaggiato come commissario tecnico, è una sfida stimolante ma anche tremendamente difficile. Non solo perché dovrà assemblare una squadra nuova, affidandosi alle “nuove leve”, ossia quei giocatori già grandi nel proprio club (Asencio, Isco, Koke) ma che in Nazionale devono ancora dimostrare tutto. Ma soprattutto perché dovrà dare una nuova anima a una Nazionale che sembra aver perso tutte le sue sicurezze.
In attesa di sapere quale sarà la ricetta di Luis Enrique per riportare in alto la Spagna, la Federazione ha deciso per la continuità. Si proverà a ripartire dal modello che ha reso grande la Roja, perché anche al netto delle difficoltà il tiki-taka rimane comunque un punto fermo.