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Froome assolto. UCI e WADA, pretendiamo chiarezza

13 dicembre 2017 – 2 luglio 2018, 200 giorni tondi tondi. Tanto è durato il bailamme attorno a Chris Froome. Il vincitore del Tour e della Vuelta 2017 in pieno periodo natalizio ricevette un regalo tutt’altro che gradito: la positività al salbutamolo riscontrata durata la 18/a tappa della corsa iberica. Da quella notizia, il braccio di ferro tra i “giustizialisti” e i “garantisti”, con Froome che si dichiara innocente attribuendo a una spruzzata di anti-asmatico in più quel valore sballato. E, in attesa delle controanalisi, l’inglese continua a gareggiare e a vincere un Giro d’Italia 2018 grazie alla leggendaria impresa targata Colle delle Finestre.

Si arriva però alla vigilia del Tour 2018 e la Grande Boucle, forte della sua grandeur, mostra i muscoli dichiarando ex abrupto Chris Froome non gradito e aprendo una settimana di carte bollate. Chiusa con la sentenza di oggi, dove si ammette che tutta questa vicenda è dovuta a un mero errore materiale. I milligrammi nel millimetro sono 1190, vale a dire il 19% del limite consentito, 1000, e quindi Froome non è sanzionabile (lo sarebbe stato dai 2000 mg in su). Quindi, tanto rumore per nulla. Sospetti, illazioni, dichiarazioni forti, tutte rigorosamente a vuoto. Chris Froome parteciperà al Tour de France e lo farà con gli stessi diritti e doveri degli altri. Punto.

Precisato questo, è palese che questo teatrino ha danneggiato l’immagine del ciclismo ancora una volta, facendo dimenticare al grande pubblico che lo sport delle due ruote senza motore è per distacco il primo nella lotta al doping, essendo stato il primo a introdurre i controlli a sorpresa H24 per i corridori, costretti quindi a comunicare sempre la loro reperibilità e a vivere in una sorta di libertà vigilata. E quindi sia l’UCI che la WADA, per rispetto degli appassionati, sono obbligati a chiarire dove c’è stato l’inghippo, da dove è saltato fuori il valore incriminato. Provate solo a immaginare cosa sarebbe accaduto se questo festival dell’incertezza fosse accaduto nello sci alpino con Hirscher, nel tennis con Federer, nell’atletica leggera con Bolt. Non esiste la controprova, ma siamo praticamente certi che le levate di scudo in loro favore si sarebbero sprecate.

Quindi, per non sapere né leggere né scrivere, sia UCI che WADA dovrebbero urgentemente fare due cose. In primis, stilare un elenco di sostanze proibite snello e costituito da quei composti che realmente possono alterare le prestazioni sportive. In secundis, garantire il risultato. Una volta omologata la prestazione sportiva, non si torni più indietro. Il filo della credibilità non solo del ciclismo ma dell’intero movimento sportivo è sempre più sottile. Se anche chi deve controllare ci mette del suo a spezzarlo, non si intravedano prospettive positive per il futuro.