Russia 2018, accuse di doping per la Nazionale russa
La Russia ha perso 3-0 contro l’Uruguay e ha ceduto la testa del Gruppo A ai sudamericani ma in queste ore non si placano le pesanti accuse di doping che le vengono rivolte da più parti dopo le prestazioni più che convincenti offerte nelle prime due gare.
I russi si presentavano a questo Mondiale in una condizione pessima: 7 risultati negativi di fila (i pareggi con Iran, Spagna e Turchia e le sconfitte con Argentina, Francia, Brasile e Austria), 70esimo posto nel Ranking FIFA, lo scetticismo dei propri tifosi. In campo, però, Cheryshev e soci si sono dimostrati compatti, attenti e fisicamente al massimo, con in testa alla classifica per chilometri percorsi Golovin, Samedov e Gazinsky. Troppo in forma per alcuni.
I primi sono stati gli Stati Uniti con Travis Tygart, capo dell’agenzia antidoping statunitense USADA, che avrebbe suggerito dei controlli antidoping più approfonditi per i giocatori della squadra di casa ai Mondiali perchè secondo lui un miglioramento così repentino delle prestazioni va monitorato con attenzione. I secondi sono stati i giornalisti del The Mail on Sunday che, in un’inchiesta, portano alla luce nuove prove di doping da parte della Russia, accusando poi la FIFA di esserne a conoscenza e di aver contribuito a insabbiare il tutto.
Nei dettagli dell’intervista si legge che il Ministero dello Sport russo avrebbe coperto un test positivo al desametasone steroideo di Ruslan Kambolov, giocatore selezionato per il controllo antidoping dopo il pareggio del 30 maggio 2015 per 1-1 del suo Rubin Kazan contro il FC Ufa, scambiando poi il suo campione di urine con un pulito: i valori indicavano un uso recente della sostanza vietata e il campione veniva etichettato con il codice 3878295 all’interno del sistema di controllo antidoping russo. Da quel giorno parte uno scambio di mail tra il capo del Laboratorio Antidoping russo Grigory Rodchenkov e il funzionario del Ministero dello Sport Aleksey Velikodny su come gestire il caso e il campione 3878295 risulta molto simile a tre campioni conservati nella “Banca delle Urine Pulite“, un sistema contenente 10mila esami russi messi da parte: lo scambio dei campioni sarebbe stato supervisionato da un ufficiale russo dell’FSB, Evgeny Blokhin, lo stesso che supervisionava lo scambio di urine alle Olimpiadi di Sochi.
La FIFA non sapeva nulla di questi casi di doping perchè non erano ancora stati portati alla luce ma nel dicembre 2016 ha ricevuto un dossier con dentro tutte le prove: da allora non ha mai spiegato come abbia portato avanti le sue indagini e Kambolov è stato escluso il mese scorso dalla rosa ufficiale dei convocati della Russia ai Mondiali. Il professor Richard McLaren, l’investigatore nominato dalla WADA per condurre una ricerca che ha messo insieme le prove e che ha individuato almeno 11 positività coperte, ha commentato così l’inchiesta: “Traete voi le conclusioni sul perché sia stato escluso, ma a me sembra chiaro. Ho incontrato la FIFA l’anno scorso, parlando delle prove raccolte: da allora non ho saputo più nulla, non so perché non abbiano agito”. A mettere ulteriore benzina sul fuoco ci ha pensato l’ex capo della WADA, l’agenzia mondiale antidoping, Richard Pound: “È ovvio, quando ci sono milioni in ballo e si vuole garantire che i Mondiali si svolgano senza problemi”.
Ovviamente si parla di accuse gravissime, figlie anche del clima di sfiducia verso tutto lo sport russo dopo i casi di doping di qualche mese fa: al momento l’unica risposta da parte russa è stata una frase stizzita del tecnico Cherchesov (“È tutto merito della spinta del nostro pubblico“) e la FIFA si è rifiutata di rispondere alle domande dei giornalisti sostenendo che “non ci sono prove sufficienti a dimostrare una violazione delle norme antidoping”. I sospetti hanno già avvelenato parzialmente il Mondiale ma in questi casi servono prove concrete. Vediamo se ne verranno fuori.