La Svezia tra rimpianti, recriminazioni e responsabilità
Perdere al 95′ ai Mondiali è dura per tutti, e in Svezia non è eccezione. Certo, di fronte c’era la Germania, con la sua infinita storia di rimonte nelle partite che contano. Però, al di là delle circostanze di com’è maturata, questa sconfitta svedese è nell’ordine delle cose, come potremo vedere.
I cambi, innanzitutto. Dopo un primo tempo disastroso, i tedeschi hanno inserito Goméz al centro dell’attacco, aumentando la propria efficacia. E non è un caso che ci sia lo zampino dell’ex viola nella rete del pareggio della Mannschaft. Andersson, invece, ha dovuto gettare nella mischia Guidetti e Durmaz in sostituzione di Toivonen e Classon. Non è un caso che uno abbia fallito una rete, e l’altro sia stato autore del fallo ingenuo che ha portato alla punizione vincente di Kroos, nei minuti di recupero. E queste sono le responsabilità.
Intendiamoci: Janne ha fatto ciò che poteva, anche quando ha dovuto togliere Berg per sostituirlo con Thalin. Senza voler scomodare Ibrahimović (abbiamo già detto da tempo come la pensiamo), forse Hamad dell’Hammarby tra i 23 poteva essere una buona opzione. Ma questi sono i nomi in panchina, e il resto è conseguenza.
Recriminazioni: Neuer ha fatto almeno due parate decisive (anche Olson, però, ha disputato tra i pali degli scandinavi una buona partita) e brucia parecchio l’errore, a parer nostro, di arbitro e VAR in occasione del contatto in area su Berg lanciato a rete, apparso come intervento da punire con la massima punizione. Probabilmente, l’arbitro non se l’è sentita di affondare la Germania con una sua decisione.
Infine, i rimpianti. È vero, come abbiamo visto sopra, che la sconfitta è figlia logica soprattutto di ciò che si è visto in campo. I numeri ci dicono che il possesso palla dei tedeschi è stato del 70%, con 16 conclusioni verso la porta avversaria, contro le 8 avversarie (curiosamente, però, i tiri nello specchio degli svedesi sono stati 6 contro 5), ed si tratta solo di alcuni parametri tra i tanti.
Tuttavia, quando prendi un gol al 95′, qualche rimpianto resta. La Svezia, in quel momento, si trovava anche in superiorità numerica: sarebbe magari bastato un passaggio diverso, una palla scagliata in tribuna, chissà. Tutti noi che abbiamo giocato a calcio abbiamo una storia di questo tipo da raccontare. Nei nostri occhi resta la gioia di nostra figlia, tedesca di nsscita, per lo scampato pericolo, subito però temperata da un “Papà, proprio la Svezia… era meglio con un’altra squadra”. Ma, del resto, questo è il calcio: forse la più bella metafora che esista della vita. E il motivo per il quale lo amiamo così tanto.