Meno uno alla serata di Kiev. Il NSC Olimpiyskiy Stadium è pronto a ospitare la partita più importante della stagione a livello di calcio di club, con le formazioni di Real Madrid e Liverpool pronte a darsi battaglia per guadagnare lo scettro di campioni d’Europa.
O, nel caso delle Merengues, tenerlo a casa per un altro anno ancora: è passato poco meno di un anno da quando, nella splendida cornice del Millennium Stadium di Cardiff – impianto abituato a ospitare grandi eventi, dal 6 Nazioni alle finali di FA Cup dal 2001 al 2006, ma che per l’atto finale della Champions League ha dato il meglio – demolivano una Juventus generosa ma inadeguata al livello di questo tipo match e alla pressione da esso derivante, per un netto 4-1.
Per quanto riguarda il Liverpool, club cui non manca il blasone europeo per quanto imparagonabile con quello del Madrid, la finale manca dal 23 maggio 2007, il giorno del ko 2-1 ad Atene contro il Milan di Filippo Inzaghi Man of the Match. Da qui parte il nostro filo rosso perché, quando si tratta di ex Coppa dei Campioni, vien voglia ogni tanto di dare sfogo al nostro personale flusso di coscienza di appassionati di calcio. Il nesso c’è ed è lì e non si tratta solo di storia ma anche di stretta attualità.
Il primo pensiero è che domani si giocherà in Ucraina. Ex Unione Sovietica, nella cui nazionale Valeriy Lobanovskyi giocò (2 volte) nel 1960-61, per poi diventarne tecnico tra il 1986 e il 1990. Era sempre stato ucraino – l’URSS era uno Stato federale composto da 15 repubbliche socialiste – ma lo divenne calcisticamente dopo il collasso del regime nel 1991, col passaggio della Dynamo 13 volte campione sovietica alla nuova federazione calcistica nazionale indipendente, e una vera e propria rivoluzione circa campionati, coppe, mercato e quant’altro.
Ecco il filo rosso: si gioca nella città patria del colonnello Lobanovsky, maestro di quell’Andriy Shevchenko, bandiera milanista assente quel giorno ad Atene perché già migrato al Chelsea ma trafitto proprio dal Liverpool nel 2005, nella partita più pazza e beffarda della storia del calcio contemporaneo. Ecco: al colonnello, vincitore della Coppa delle Coppe con la Dynamo ai tempi della cortina di ferro, uomo di calcio apprezzato in tutto il Vecchio Continente, la finale di Champions a Kiev sarebbe piaciuto vederla; il suo figlioccio Sheva, godendosi lo spettacolo, difficilmente tiferà per il Liverpool.
Si è parlato, allora, troppo poco dell’Ucraina e di Kiev, nella marcia d’avvicinamento a questa finalissima. Certo non è una novità avere questo paese come sede di una grande manifestazione – la memoria, dolce per noi italiani visti i rigori del 2012 con l’Inghilterra – ma la vetrina è di quelle ghiotte e non mancheranno i campioni, da Cristiano Ronaldo a Mohamed Salah, da Sergio Ramos a Roberto Firmino e tanti altri. E il filo rosso continua, non s’interrompe: a Lobanovsky e Shevchenko (che, per inciso, nei Reds di Benítez ci sarebbe stato da Dio, come stile) piacerebbe da matti questo Liverpool di Jürgen Klopp. Così avvolgente e travolgente, nel bene come nel male: su tutto, l’idea di collettivo. Certo, il tecnico di Stoccarda è agli antipodi quanto a disciplina e rigidità tattica, ma un’idea romantica e nostalgica del calcio di un tempo autorizza a pensare che Valeriy avrebbe gradito.
Come gradiscono i tifosi del Liverpool i ricordi storici del confronto in finale con i Blancos. La mente corre, almeno quella degli scouser più stagionati, al 1980 e alla finalissima del Parco dei Principi di Parigi. Era una dinastia quella dei Reds e il calcio inglese, un po’ come quello spagnolo oggi, dominava in lungo e in largo – gli almanacchi certificano 6 Coppe Campioni consecutive portate a casa dei club di Sua Maestà tra il 1977 e il 1982 – ma il Real Madrid restava il Real Madrid. Nell’urlo di Alan Kennedy, terzino sinistro, all’82’ c’era tutta la voglia di inseguire l’aristocratico avversario sul terreno dei trofei e della bacheca. Missione compiuta all’epoca ma sfida persa dal club di Anfield negli ultimi 30 anni: Klopp ci pensi.
Il filo rosso partito da Kiev, passato per le sue leggende Lobanovsky e Shevchenko, per il 27 maggio 1981, è canale di dialogo tra ieri e oggi, tra storia e imminente e pressante attualità.
Il collegamento ce lo offrono i trofei quasi vinti – ne ha la bacheca piena in Europa a nostra Juventus, su menzionata – a partire dalla Premier League 2013-2014, quella dello scivolone di Steven Gerrard (magari si fosse giocato sempre a Cardiff!) e del miglior “quasi titolo” della storia, in condominio con quello del Napoli di Sarri. Quei Reds quasi campioni, orfani del fuggiasco Luis Suárez e lontani parenti della squadra ammirata su tutti i campi della Premier League pochi mesi prima, venivano il 22 ottobre 2014 autenticamente presi a pallate dal Real Madrid, con gol di Ronaldo e doppietta di Benzema. Una partita senza storia, caratterizzata dal palese contrasto tra la bellezza dell’inno You’ll Never Walk Alone finalmente di nuovo protagonista sul grande palcoscenico europeo e l’umiliante gap tra due squadre di categoria differente. Se effettivamente furono il ko di Basilea (1-0) e il pari di Sofia col Ludogorets a determinare l’uscita dei Reds da quella Champions League, al ritorno Brendan Rodgers – ormai sopraffatto dalla situazione – optò addirittura per il turnover al Santiago Bernabéu. La diede persa, insomma, si arrese prima di scendere in campo: altri erano gli obiettivi e gli avversari alla portata, per umiliante che potesse sembrare.
Il filo rosso sta proprio qui: oggi la situazione è diversa e il Liverpool non ha paura di nessuno. Certo parte – sulla base delle rose e degli XI che scenderanno in campo domani sera – senza i ranghi del favorito ed è senz’altro vero ciò che dice Vicente del Bosque (“Nessun giocatore del Liverpool giocherebbe titolare nel Real“) ma abbiamo una partita, avremo una partita. E se c’è un underdog, totalmente imprevedibile, che delle grandi non ha paura è proprio la squadra di Klopp, come ha dimostrato quest’anno. Le ha battute tutte negli scontri diretti in Premier League e in Champions, quest’anno, e ha una voglia matta di farlo nella partita più importante di tutte. Ronaldo permettendo.