Déjà-vu, record, ritorni, una pioggia divina e decisiva, infine ineluttabili verdetti. Non è mancato proprio nulla nell’entusiasmante epilogo degli Internazionali d’Italia. Le lacrime di sudore dei protagonisti lasciano il posto ad un cielo romano torbido, che pian piano si apre sulla Capitale mentre sul Centrale saltano gli schemi, lo staff balla e stappa champagne al termine della premiazione: è questa l’ultima fotografia dopo una settimana all’insegna del bel Tennis, per un’edizione definita dai vertici FIT e CONI semplicemente come fantastica. Bilancio positivo, con un record d’incassi sfumato solo per le condizioni meteorologiche, alcune questioni di affrontare (come quella del tetto sul centrale), infine risultati da commentare.
Nadal riprende un discorso interrotto nel 2015, ma l’ottava incoronazione romana avviene non senza patemi. Il tennista di Manacor doveva riscattare l’interruzione della striscia vincente sulla terra di Madrid e con un po’ di fortuna, ma sempre con indubbio merito, centra l’obiettivo in un epilogo dai contorni epici. Negli occhi degli spettatori resta il quarto con Fognini, che nell’appuntamento più importante della carriera si arrende al terzo set; rimane impressa la bella semifinale con Djokovic, finalmente sulla via del ritorno ai vertici dopo mesi di tribolazioni in un palcoscenico che l’aveva visto trionfare quattro volte; infine c’è tutto il fascino nello scontro tra il vecchio e il nuovo che avanza, ultimo brivido offerto dalla finale con l’arrembante Zverev. Dopo il break subito in apertura, Nadal non fa sconti nel primo parziale: sei game consecutivi, tarpando, almeno apparentemente, le velleità del fresco vincitore di Madrid, nonché campione uscente. Il ventunenne tedesco, pur non ripetendosi, si arrende con una grande prova di maturità. In primis mantiene la testa lucida, nascosta dalla fulgida chioma bionda, poi inizia a imporre il proprio gioco con i vincenti, con i piedi nel campo e con smorzate che fanno annaspare visibilmente lo spagnolo. Stavolta è proprio Nadal a fermarsi a un solo game archiviato nel secondo set. La musica non cambia nel terzo, quando Zverev continua ad esprimere un dinamismo che sette giorni prima sul Manolo Santana non si era proprio visto. Servizio d’acciaio, lungolinea di rovescio incisivo, ma anche scaltrezza da vecchio lupo di mare, quando fa innervosire l’avversario in procinto di servire la seconda di servizio bloccandone l’esecuzione, lamentandosi del pubblico del centrale che stentava a prendere posto e a infilarsi gli impermeabili distribuiti dalle eleganti signorine dello staff. Un “trucchetto” che gli vale il vantaggio di 3-1 nel parziale decisivo. Ma quando tutto sembra andare nella direzione del tedesco, arriva una fatidica pioggia che causa due sospensioni, che esprime il veto divino a un cambio generazionale ormai in procinto di compiersi.
È la voce dall’Olimpo a sentenziare che c’è ancora tempo per invertire le gerarchie, 40 minuti sono così fatali al tedesco che al ritorno in campo viene sovrastato da Nadal. E pensare che poco prima in molti stavano elogiando il carattere del giovane Sasha, anche spettatori d’occasione come la schermitrice iridata Bebe Vio, che ammettendo la sua ignoranza in materia aveva parlato ai microfoni di Sky durante l’interruzione, assolutamente strabiliata dall’atteggiamento solido di Zverev. Così il passaggio di consegne non avviene sul suolo capitolino, il terraiolo più forte di sempre fissa il record di 32 Masters 1000 vinti in carriera e si riprende la vetta del ranking ai danni di Roger Federer, di nuovo grande assente del torneo. E quando dopo la premiazioni si svuota il centrale, sulle note di “Il cielo è sempre più blu” di Rino Gaetano, si aggiungono altre note gradevoli nel tracciare il bilancio del torneo: quelle del Tennis azzurro, con un Cecchinato che, dopo il primo titolo ATP conquistato a Budapest, aveva debellato Cuevas, prima di lasciare la scena negli ottavi solo al terzo, contro un certo David Goffin; con Fabio Fognini che dopo aver infiammato il centrale prendendosi lo scalpo di Thiem, aveva abbandonato il palcoscenico rubando un set a Nadal, dando l’impressione di poterla compiere, l’impresa. Resta un pizzico di rammarico, dato il vantaggio iniziale del ligure; rimane la soddisfazione per il primo quarto di finale raggiunto al Foro Italico, quando manca pochissimo agli Open di Francia. Ancora un po’ di attesa poi parola al Roland Garros, dove vedremo se ci sarà di nuovo un dio a propiziare il cammino trionfale di Nadal, in cerca dell’undicesimo acuto a Parigi: aspettando di vedere se Čilić, semifinalista a Roma, confermerà di poter dire la propria anche sul rosso; se Zverev potrà arrivare fino in fondo in uno slam; se Djokovic continuerà sulla strada giusta; se un altro lungodegente come Wawrinka potrà risorgere all’ombra della Tour Eiffel. Senza dimenticare i vari Thiem, Nishikori, Dimitrov e Goffin, che a Roma non sono andati fino in fondo, ma che in terra francese potrebbero dire la loro con una certa incidenza.
Nel tabellone femminile doppietta speciale per Elina Svitolina, che eguaglia l’impresa di Serena Williams, prima di domenica l’unica a trionfare per due anni consecutivi sulla terra di Roma. Nella replica dell’ultima finale a prendersi la targa di consolazione è di nuovo la #1 del ranking Simona Halep: la romena mantiene la vetta della classifica WTA, ma ha sofferto della sua sindrome slam anche al Foro Italico. L’ucraina conferma la sua solidità con l’ottava finale di fila vinta in carriera, la dodicesima su quattordici totali, ma il suo Tennis dinamico e aggressivo affossa un’avversaria troppo rigida. “Rigidità”, ruota proprio su questo concetto la giustificazione della stessa Halep, fornita al termine del match: un riferimento al fisico, un affaticamento imputato agli strascichi della dura semifinale contro la Sharapova.
Una motivazione valida però fino ad un certo punto, per mascherare delle debolezze psicologiche che una tennista, così tenace in alcune occasioni, non esita a scoprire quando la posta in palio si fa altissima. E dunque c’è una campionessa debole di testa, ma c’è comunque una Svitolina pressoché perfetta, che non concede game nel primo parziale, e non lascia, nell’arco dell’intero match neanche una palla break alla Halep che prova a giocare solo nell’ultimo set, quando però è troppo tardi. A pensare che la #4 del ranking stava per crollare contro la Kasktina agli ottavi, dove nel primo parziale stavolta era stata lei a rimanere a secco di giochi. Dopo il rischio di scivolare, a inizio torneo, l’ucraina ha disputato un torneo pressoché impeccabile, senza regalare più parziali, neanche ai quarti contro la temibile Kerber. Adesso la bella e “social” Svitolina è attesa alla prova slam con la fiducia scaturita dal terzo acuto stagionale.
Un torneo speciale l’ha disputato anche Maria Sharapova, che sotto il sole romano ha spesso regalato emozioni. Dopo lo sfortunato ritiro dello scorso anno, quando era da poco rientrata dalla squalifica per doping, Masha è stata protagonista di prestazioni di rilievo e di alta intensità. Si pensi alla maratona ai quarti contro la Ostapenko, alla semifinale contro la Halep che l’ha vista cedere solo al terzo set, ultimo atto di una battaglia senza esclusione di colpi. C’è stata una Muguruza deludente, fuori all’esordio; una Garcia un po’ spenta; una Wozniacki campionessa d’Australia senza acuti, e una Pliskova nervosa che ha preso a “racchettate” la postazione del giudice di sedia per una decisione errata che di fatto ha contribuito all’eliminazione contro la Sakkari, un gesto folle che pagherà molto caro. Infine c’è la nostra Roberta Vinci, che con un pizzico di liberazione dà l’addio al Tennis, nel torneo di casa, nel teatro suggestivo del Pietrangeli, tutto in piedi al momento del suo congedo dai campi. Per l’azzurra, finalista negli Us Open 2015 e vincitrice di quattro Fed Cup, si profila un futuro in FIT.
Per noi appassionati di Tennis c’è un filo diretto che ci porta al secondo slam stagionale, dove le emozioni potrebbero essere maggiori, e i verdetti saranno ancora più pesanti.