Sono i dettagli a fare la differenza. Un mantra, questo, che occorre spesso quando si parla di massime di vita, che oggi si sente talmente tanto da diventare a volte stucchevole. I dettagli si notano in atteggiamenti che caratterizzano una personalità, che ti fanno amare gli altri e dagli altri. Spesso però la medaglia si capovolge presto e nasce il rimpianto (“se solo se’”, l’ “un pizzico di X in più e…”). Si è scelto un incipit moraleggiante per inquadrare un capitolo abbastanza rilevante del tennis italiano, indispensabile per inaugurare il nostro racconto: la sfida tra Nadal e Fognini, primo quarto degli Internazionali di Roma, ha diverse chiavi di lettura. Alcune di queste aprono a ciò che poteva essere e che non è stato, con una buona dose di rammarico. Un’interpretazione suona più o meno così: il tennista azzurro non era mai andato così lontano nel torneo romano, nell’arco di un’ora ha mandato in panne il “terraiolo” più forte di tutti i tempi, per poi cedere alla superiorità pronosticata dello spagnolo al terzo set. In sintesi, il nostro Fabio esce a testa alta dopo un torneo positivo. Questo è un modo di vedere le cose, forse quello più indulgente e benevolo nei confronti del ligure. Poi se ne può considerare un altro maggiormente severo nel giudizio, ma che prende vita proprio dal bel Tennis sciorinato e dall’enorme talento del numero uno d’Italia: è una storia di chi l’impresa avrebbe potuto compierla, se avesse sistemato dei dettagli appunto, se avesse limato alcuni atteggiamenti lampanti in un afoso pomeriggio capitolino, prima di offuscarsi all’ombra di un grande avversario. Ma forse in fondo non emerge nulla di nuovo nell’appuntamento più importante della sua carriera: il solito Fabio Fognini, bello e incostante, elegante ed incompiuto, prevedibile nella sua imprevedibilità e sempre un pochino nervoso.
Il centrale era chiuso in un semi-silenzio quasi scaramantico, all’inizio di un match che si sarebbe potuto definire tranquillamente la prova del nove per la carriera di Fognini. Tutti dissimulano ciò che è lecito auspicarsi: un miracolo azzurro. Perché carte alla mano, il tennista di casa parte sfavorito (10 a 3 il compunto dei precedenti per lo spagnolo), ma con sé porta ancora lo scalpo di Thiem, unico ad aver sconfitto Nadal (per ben due volte) negli ultimi 12 mesi sulla terra. Roma è sempre stato un onere per gli italiani, soprattutto negli ultimi anni, ma nonostante gli intenti precedentemente dichiarati nel voler affrontare il torneo di casa senza aspettative, queste stesse aspettative si erano create per e su Fognini con un dato inconfutabile: Fabio sta giocando bene.
Nel primo set c’è tutto il repertorio, nel bene e nel male: gratuiti (Fabio sbaglia una volée di rovescio in campo aperto che gli avrebbe dato la palla break in apertura), princìpi di tenue nervosismo (racchetta che vola stavolta senza rompersi), servizio perso, e infine una grande pressione, una pioggia di vincenti che consegnano a Fognini il parziale. C’è uno spagnolo in crisi che mette fuori, in tre game, più colpi che in tutto il torneo, dall’altro lato un martello capace di interpretare al meglio la partita, di prendere tatticamente le scelte giuste. Nadal non riesce a spostarsi di diritto, le frustate cariche di lift dell’azzurro si impennano e fomentano l’entusiasmo del centrale.
Gli spettatori si guardano tra loro e riconoscono l’atleta che ogni appassionato avrebbe voluto vedere. Quell’immagine si dissolve troppo presto però: a Nadal bastano cinque minuti per reimpostare il suo dominio psicologico, per “bullizzare” Fabio e renderlo di colpo come le tante formiche schiacciate nel suo percorso trionfale sulla terra, la striscia record di set consecutivi vinti. Il maiorchino è solido ma Fognini rinuncia ad affrontare dei momenti imprescindibili del gioco del Tennis: quelli in cui c’è la tempesta, ma bisogna trovare la forza per reagire, soprattutto perché sei avanti di un set, e il fato può ancora sorriderti. Coaching per un dolore al ginocchio sinistro, qualche borbottio solitario, breve discussione con degli spettatori in tribuna, poi quel tocco di romanità che al Foro Italico non può mai mancare. Un voce grida: “Fabio pensa a giocare!”, la solita schiettezza romana, che racchiude il pensiero di molti, forse gli stessi che lo avevano applaudito a inizio match e che ora vedono il loro eroe cedere senza lottare, con il solito corredo comportamentale.
Non un caso isolato. Tornano alla mente i fatti dello scorso anno quando dopo aver liquidato Murray, allora in cima al ranking, il sanremese si era arreso a Zverev accorciando gli scambi quasi per la fretta di farsi eliminare da quel torneo, senza farsi mancare qualche litigio. Allora quell’impazienza di volare subito a Barcellona dalla sua Flavia, per l’imminente nascita del primogenito, lo giustificò agli occhi di molti, con la speranza di non vederlo più sprecare certe occasioni. Torniamo all’ultima gara: al termine della sfida con Nadal, Fabio, avvocato di se stesso, ha fatto capire di non aver gradito l’orario, ha dovuto motivare i problemi accusati al ginocchio, ha ammesso la superiorità dall’avversario. Tutto vero, ma non tutte motivazioni soddisfacenti: questioni di dettagli, perché magari con altra disposizione d’animo Fabio, che resta un tennista di grande livello, sarebbe potuto divenire un top ten, andare più avanti in un tabellone di uno slam, prendersi una finale di un Masters 1000. Ipotesi, che sarebbero potute diventare realtà se solo il Fogna avesse ascoltato il consiglio di una piccola voce nel coro. ‘’Fabio pensa a giocare’’.