Non sarà un cinque maggio
Quando le statue imperiose del Foro Italico avranno ancor impresse negli occhi marmorei le emozioni e i freschissimi ricordi degli Internazionali di Tennis, all’Olimpico si giocherà la partita Champions tra Lazio e Inter. Qualcuno passerà direttamente dal Centrale allo stadio sperando di non incorrere nel classico acquazzone primaverile, altri verranno da roccaforti biancocelesti, molti prenderanno il treno o l’aereo da Milano. A Roma c’è un sogno da blindare dopo una stagione esaltante, da difendere dalle ambizioni degli amici meneghini che sono di ben altro umore ma fissano lo stesso obiettivo. Sicché sciarpa al collo, zainetto pieno di pizza bianca o michette in spalla, ma soprattutto speranza, per un’ultima, ennesima occasione offerta dal destino nel suo disegno dai contorni sfumati, che per ora non si sbilancia, e temporeggia nel decretare il verdetto Europeo. E in questi pochi giorni che rimangono di attesa non ci resta altro che farci suggestionare dalla magia e dalla ricorrenza di incroci passati, immaginando un nuovo capitolo di una sfida che non sarà una classica forse, ma che spesso ha riservato molte sorprese.
Si mescolano così le carte con l’imprevedibilità consueta nel rievocare vecchi confronti, e situazioni che hanno deciso la storia di una squadra, la storia di un popolo. Di scena l’ennesimo capitolo di una ”non rivalità” tutta particolare, che non ha bisogno di uno scandaglio approfondito negli archivi per presentare la sua pagina più celebre. Nel cinque maggio 2002, ricorrenza luttuosa per l’intero mondo interista, si consumò una specie di tradimento, quando a negare lo scudetto all’Inter fu una moltitudine di fattori imprevisti: senza contare le responsabilità enormi della squadra di Cuper e di uno sciagurato terzino sinistro di nome Gresko, una bella coltellata l’assestò l’amato ex Simeone; il vero carnefice fu invece Karel Poborský, che prima delle vacanze, quasi per dispetto, decise di piazzare l’unico acuto di un’esperienza biancoceleste deludente. La sua doppietta, poi, fu preludio di un addio senza rimpianto. Forse la Curva Nord, colorata in quell’occasione anche di nerazzurro, si aspettava che gli alleati biancocelesti si scansassero per evitare quantomeno il rischio di assegnare un altro scudetto alla Roma, il secondo consecutivo. Evidentemente non aveva fatto i conti con la legge del Football. Fatto sta che ormai tutti conoscono l’epilogo di quella giornata, fissato in due immagini: la festa bianconera a Udine, le lacrime di Ronaldo in panchina.
Lacrime che abbiamo appena visto scorrere sul viso dell’attuale numero nove e capitano nerazzurro, Maurito Icardi: anche qui c’entra la Juventus, stavolta per una delusione inflitta direttamente sul campo, anche in questa occasione potrebbe esserci un addio, scelta dolorosa che il Fenomeno prese più per sé che per una piazza che indubbiamente amava e che ricambiava considerandolo un dio. E la separazione si consumò dopo un Mondiale vinto da protagonista, evento a cui Icardi vorrebbe quantomeno partecipare, per poi valutare in seguito, facciamo eco alle sue ultime dichiarazioni, la sua utilità alla causa nerazzurra. Bomber argentino che, dopo i colpi a salve sparati con il Sassuolo e non solo, vorrà sicuramente congedarsi con onore, o guadagnarsi proprio con i gol per la prima volta la Champions, prolungando dunque la sua permanenza all’ombra della Madonnina con una motivazione in più.
Per adesso, il sogno di un ritorno in Europa (quella che conta) atteso ormai da 6 anni è ancora possibile grazie alle gesta di due portieri che hanno entrambi una nota nerazzurra nel curriculum, anche se con didascalie ben diverse. Walter Zenga è riuscito a dare una mano alla sua Inter bloccando gli uomini di Inzaghi con un pareggio che in realtà non serve molto al suo Crotone; Alex Cordaz, cresciuto ad Appiano Gentile e adesso capitano rossoblù, ha tentato con i suoi miracoli di difendere un vantaggio sui biancocelesti che avrebbe significato tanto in chiave salvezza. Una vittoria che i pitagorici avrebbero messo in ghiaccio se un futuro nerazzurro come De Vrij, fresco di firma, non avesse tolto un pallone indirizzato in rete e che sarebbe valso il 3-1. Olandese che prima di fare le valigie, potrebbe, perché no, incidere su una partita che Inzaghi non sa ancora se fargli giocare.
Una Lazio col fiatone e con defezioni di rilievo si presenta all’appuntamento più importante della stagione con il merito di aver sciorinato il calcio migliore e il vantaggio di avere due risultati su tre. Parrebbe davvero beffardo se il mister biancoceleste dovesse rinunciare in blocco a Parolo, Immobile e Luis Alberto: su questo bel percorso c’è la loro firma. Una cosa è certa, questa partita vale di più degli ultimi incroci occorsi alla fine di campionati che avevano poco da regalare a entrambe le squadre; un pronostico di prestazioni scariche, inutile specificarlo, sarà inimmaginabile. Analogie sì, ma niente coincidenze con il passato. Non sarà il 5 maggio, non sarà il 2010 quando un’abulica Lazio si inchinò senza lottare all’Inter del Triplete. Sarà un match imparentato piuttosto con la finale di Coppa Italia del 2000, quella di Supercoppa dello stesso anno e del 2009, con l’ultimo atto parigino della Coppa Uefa nel 1998. Quando Ronaldo mise Nesta in forte imbarazzo, si prese il Parco dei Principi e il cuore dei nerazzurri, per sempre.
Lazio-Inter sarà dunque di nuovo una finale, ricca di storie che ne accrescono la curiosità: si giocherà in un teatro di ricordi, ma con la sicurezza di scrivere una nuova pagina del calcio italiano.