Forse è il momento di dirlo senza troppe remore: la Roma ha finalmente trovato una dimensione europea. Fidatevi, ieri sera l’Olimpico è stato qualcosa di straordinario: un mare di persone all’unisono, il vero dodicesimo uomo in campo. Quello che serviva per fare un’altra impresa, sfiorata solo stavolta; non centrata un bel po’ per ingenuità, un po’ per le colpe evidenti dell’arbitro Skomina, che nel postpartita sembra essersi reso conto dei propri errori.
Ma tant’è: ormai è andata, ormai in finale ci va il Liverpool. Che a dirla tutta, è risultato molto meno forte di quanto all’andata ci è sembrato, e allora aumenta il rammarico, perché vuol dire che ad Anfield è proprio vero che la Roma ha sbagliato tutto ciò che poteva sbagliare. Pardon, quasi tutto: quei due gol alla fine ci hanno regalato una sfida di ritorno da brividi.
E allora peccato. Peccato per l’errore di Nainggolan, peccato per la spizzata di Džeko. Peccato soprattutto averla riaperta così tardi. Perché guardate il rigore del 4-2: Nainggolan lo spara con una rabbia tale, in porta, che ci fossero stati altri cinque minuti da giocare, chissà. Ma non c’erano altri cinque da giocare, quella era l’ultima occasione della partita, e ai giallorossi mancava ancora un gol per mandare tutto ai supplementari.
Peccato. Per il risultato, per com’è finita, ma non per la grande serata dell’Olimpico. Roma è stata grande, ieri sera, e non solo sotto sotto l’aspetto calcistico: ordine pubblico, organizzazione, disciplina, passione, tifo, colori, tutto perfetto. Stile, finalmente, e un’importante estensione dei propri confini oltre le mura di cinta dell’Urbe. L’ufficializzazione dell’europeismo romano, in data 2 maggio 2018. Ora però viene il bello: Di Francesco dovrà tenere alti gli standard, chiudere il campionato in zona Champions, riportare questa squadra a competere per l’Europa. E chissà: magari, il prossimo anno, a Roma si vivranno di nuovo serate così belle.
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