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Il coraggio delle idee

Undici mesi. Lo stretto necessario per riconquistare ciò che aveva perso in quella fatale notte di Palermo, in cui aveva servito su un piatto d’argento la salvezza al Crotone di Nicola. Fantasmi, paure, preoccupazioni di una città e di una tifoseria abituate al susseguirsi di A e B, ma rimaste profondamente scioccate dall’epilogo della stagione. Quando retrocedi, portandoti dietro scorie e cicatrici, non è mai semplice ripartire. E diventa ancora più difficile se pensi di rifondare completamente. Via la maggior parte della squadra, azzerato anche lo staff tecnico e medico. La società decide di rifare tutto da capo. Osando e azzardando, perché così facendo ti prendi un rischio enorme, quello legato al tempo. Di solito, per attuare vere e proprie rivoluzioni non basta la volontà, occorre anche il tempo.

A Empoli, evidentemente, il tempo è un alleato prezioso. Rallenta il suo incedere, quando si tratta di crescere calciatori che poi diventeranno di alto livello. Sembra velocizzarsi, invece, quando c’è da rimboccarsi le maniche per tornare a brillare. Si è sempre detto che Empoli è una piazza ideale, che fornisce aiuto prezioso per i giovani che devono emergere. Ed è vero, ci sono meno pressioni, è il luogo migliore dove un calciatore di prospettiva può spiccare definitivamente il volo. Senza fretta, senza isterismi. Ma non solo. La società azzurra ha dimostrato di essere lungimirante, preparata, pronta a voltare pagina dopo un capitolo nero, anzi nerissimo, della sua storia.

La prima mossa è stata ingaggiare Vincenzo Vivarini come allenatore. Un tecnico preparato, che ha dovuto prendere in mano una squadra da rifondare. E che ha avuto a che fare con un ambiente disastrosamente depresso. Vivarini è riuscito a far riavvicinare la gente, a far crescere l’entusiasmo intorno alla squadra. Ha avuto un ruolo preziosissimo, che forse oggi qualcuno scorda, ma che rimane indelebile. Poi la società ha deciso di cambiare, affidandosi ad Aurelio Andreazzoli, credendo che solo un cambio in panchina potesse far mettere il turbo a una squadra promettente ma non al massimo delle sue potenzialità. Arrivato con un po’ di scetticismo, all’allenatore massese sono bastate poche partite per far ricredere tutti. Ha cambiato modulo, passando al 4-3-1-2 e sfruttando le capacità tecniche del trequartista sloveno Zajc, fino a quel momento utilizzato un po’ col contagocce. Ha creato una macchina da guerra, perfetta, invincibile. Se dovessimo trovare una metafora automobilistica, Vivarini ha rimesso in sesto una macchina sgangherata portandola a gareggiare con le più forti; Andreazzoli ha completato l’opera trovando l’assetto giusto e affinando il turbo della vettura.

Alla fine dei giochi chi vince ha sempre ragione. E ragione ha avuto la società nelle sue decisioni, anche quelle più impopolari o discutibili. La dirigenza dell’Empoli è tornata a essere quella che tutti, in Italia, guardano con ammirazione. Quella che fa pensare che è possibile fare un bel calcio anche in provincia. Con oculatezza e serietà, privilegiando la programmazione, prima di tutto. Non sappiamo ancora se questo Empoli può aprire un ciclo in Serie A. Ma la realtà è che anche se sei una provinciale – e non hai i soldi e i proventi di una grande piazza – puoi fare un calcio che diverte. Non è un caso che la stagione 2018/19 sarà la tredicesima in Serie A per la squadra del presidente Corsi. Il coraggio delle idee, a volte, paga.