Indignazione, rabbia, imbarazzo: sono questi i sentimenti che stanno dominando da ore gli ambienti giallorossi di Roma. Avremmo voluto che questi pensieri fossero scaturiti solo dalla prestazione in campo, largamente insufficiente per 80′, ma salvata in extremis grazie a un finale di grande cuore; e, invece, ancora una volta sono state le vicende fuori dal campo, che con il calcio non c’entrano proprio nulla, ad aver riempito le prime pagine dei giornali. Il tremendo blitz di un gruppo violento della tifoseria davanti alla “Kop” contro i tifosi del Liverpool ha scosso l’intera Inghilterra e la UEFA: un intervento calcolato con fredda razionalità, di un’aggressività incomprensibile e testimoniata dai tanti, agghiaccianti filmati che stanno circolando in queste ore. E che, soprattutto, ha finito per distruggere la vita di un tifoso, Sean Cox, e della sua famiglia.
Per la Digos, quello di alcuni gruppi della tifoseria della Roma era un attacco premeditato a tutti gli effetti. I video sembrano quasi tratti dai film sugli Hooligans di Philip Davis e Alexander per la brutalità degli attacchi, ambientati decine di anni dopo e con attori diversi solo per il colore del proprio credo calcistico. Secondo le prime ricostruzioni, ad aver ridotto in fin di vita Cox (attualmente ricoverato con danni celebrali gravissimi, con la moglie che starebbe valutando “se lasciarlo andare”) sarebbero stati due tifosi già arrestati con l’accusa di tentato omicidio: due ragazzi di 21 e 29 anni. L’età conta poco in questi casi, è vero: ma mi si gela il sangue quando penso che persone così giovani abbiano deciso di far intraprendere alle proprie vite le vie di una violenza ingiustificabile, di vendette che macchiano la bellezza di uno degli sport più amanti al mondo.
Doveva essere una notte di festa e di sana adrenalina per i tanti tifosi arrivati a Liverpool per continuare a sognare in grande in Europa. E, invece, circa una quarantina di ultras, armati di cinghie e martelli, hanno macchiato di sangue per l’ennesima volta una notte di grande calcio. Era andata così anche nella celebre finale di Roma del 1984, quando una notte di guerriglia tra le due tifoserie rovinò il finale di un evento importante per la città. Al termine della partita, le scene a cui tutto il mondo dovette assistere sembravano una fotocopia di quelle dell’altra sera: scontri fuori dallo stadio, caccia all’uomo in più zone di Roma, coltelli, cocci di bottiglia. E con un bollettino finale drammatico: un ragazzo di 18 anni in coma, un tifoso inglese accoltellato che si era recato a vedere la partita con il figlio e una trentina di feriti. Quella notte, ricordata già in modo amaro dai tifosi giallorossi per la sconfitta subita ai rigori, non è mai davvero finita e ad Anfield l’ala estremista della tifoseria della Capitale ha consumato la propria vendetta.
Se pensavamo che la morte del tifoso napoletano Ciro Esposito di quasi 4 anni fa avesse insegnato qualcosa a una parte della tifoseria romanista, ci sbagliavamo di grosso. Anzi, martedì sera c’è stato persino chi ha pensato bene di esporre un nuovo striscione in sostegno del suo assassino, Daniele De Santis, riaprendo una ferita mai davvero chiusa in uno degli stadi più affascinanti d’Europa. Ed è proprio di questa parte del tifo giallorosso che la Roma non riesce ancora a liberarsi, nonostante i ripetuti ed evidenti tentativi di Pallotta di portare all’Olimpico un clima totalmente diverso: una mossa (accompagnata dalla proposta dell’introduzione di telecamere ad alta definizione nello stadio per riconoscere i violenti e punirli) che lo ha portato a un inevitabile scontro con la frangia più estrema della tifoseria già lo scorso gennaio, che lo ha definito una “spia”. Ma, dopo la notte di Liverpool, l’imbarazzo dell’americano davanti agli occhi di tutta Europa è davvero totale.
In Inghilterra, la paura di rivivere lo stesso incubo al ritorno a Roma sta toccando chiunque. Un testimone degli scontri ha ammesso alla BBC, con la voce rotta dal pianto e dallo shock, che non andrebbe nella Capitale nemmeno se pagato, un pensiero condiviso anche dall’ex giocatore del Chelsea Damien Duff. La Roma ha già condannato la vicenda pubblicamente, ma ora si attende la decisione dell’UEFA che, senza dubbi, riguarderà già la gara di ritorno: multe, partite a porte chiuse o forse persino una squalifica. L’intenzione è quella di infliggere una punizione esemplare, per non cancellare il ricordo del povero Cox: ennesima vittima di una violenza di cui il calcio non riesce a liberarsi.