La nostra rubrica sugli astri nascenti del campionato di Serie C torna a occuparsi del girone A. Dopo Cassio Cardoselli della Carrarese e Stefano Pellini del Cuneo tocca ancora una volta a un centrocampista. Si tratta di Francesco Corsinelli, pedina inamovibile del Pontedera allenato da Ivan Maraia, anche se di proprietà del Genoa. Nato a Pietrasanta il 21 novembre 1997, è alla sua seconda stagione nelle fila della squadra toscana. Calciatore eclettico e duttile, fa della corsa e della determinazione le sue armi migliori. Nasce come terzino, ma nel corso della sua carriera ha finito per avanzare fin sulla linea di centrocampo, venendo impiegato prevalentemente come esterno destro o sinistro.
Ciao Francesco. Cominciamo facendo un tuffo nel passato: a che età hai cominciato a dare i calci a un pallone e quali sono state le tue prime esperienze da “calciatore in erba”?
È cominciato tutto quando avevo cinque anni. La mia prima squadra è stata la Centro Lido National, una scuola calcio della mia città, Viareggio. Poi, dopo un biennio di “apprendistato”, è arrivata la chiamata della Lucchese. Per me è stato un orgoglio poter andare in una società così importante, ma purtroppo si è rivelata un’esperienza breve, visto che la società è fallita dopo due anni. È stato un vero peccato, perché nonostante avessi trovato inizialmente poco spazio, da metà anno in poi ero riuscito a giocare con maggiore continuità, complice l’infortunio del terzino destro titolare.
Successivamente al fallimento della Lucchese torni a casa, trasferendoti all’Esperia Viareggio.
Sì, ed è stata una decisione presa di comune accordo con la mia famiglia. Avevo proposte allettanti, anche da squadre blasonate, come l’Empoli. Ma accettare una di queste offerte avrebbe significato allontanarmi troppo da casa. E mio padre, credo giustamente, riteneva che fossi ancora troppo piccolo per fare questo passo. Così ho deciso di accettare la proposta del Viareggio: lì ho vissuto la mia prima esperienza da esterno alto, venendo posizionato quasi sempre come laterale di centrocampo.
Però anche il Viareggio viene dichiarato fallito. A questo punto dove vai?
Sono rimasto senza squadra ma in realtà mi volevano in tanti. Alla fine ho deciso di dire sì al Genoa. Sulla mia decisione ha pesato naturalmente l’importanza e la storia del Grifone. Ma anche il fatto che ero vicino a casa, in una città di mare. A Genova ho vissuto anni molto belli: prima negli Allievi B, poi negli Allievi A, infine in Primavera. Un’esperienza che custodisco gelosamente. E che mi ha formato come persona. Dico questo perché il Genoa è una società seria, che esige molto ma che ti dà tanto. Ti stanno molto dietro anche in ambito scolastico, ci sono dei tutor e degli psicologi che ti seguono passo dopo passo, niente è lasciato al caso.
Solitamente si dice che dietro un calciatore che aspira diventare grande ci debba essere una grande famiglia. Sei d’accordo?
Sì, assolutamente. Come ti dicevo, la mia famiglia è stata molto presente. A partire da mio padre, che mi ha seguito fin da piccolissimo e che mi segue tuttora, quando può, vista la vicinanza. Per me affermarmi come calciatore sarebbe importante anche per ripagare la mia famiglia dei sacrifici fatti in questi anni. Poi ci sono chiaramente mia madre e i miei fratelli – un fratello e una sorella, ndr – che mi seguono sempre con grande trasporto. Senza dimenticare la mia fidanzata, Diletta, con la quale sono impegnato da cinque anni e che è un punto di riferimento costante.
Quali calciatori sono stati per te fonte di ispirazione fin da piccolo?
Ce ne sono stati tanti, ma se devo scegliere ti dico due nomi: Shevchenko e Gattuso. L’ucraino è stato il bomber che ammiravo di più, per la facilità con cui riusciva a segnare. Ed essendo io milanista, mi faceva gioire spesso. Ma poi, col passare del tempo, ho cominciato ad apprezzare le doti di Gattuso: un calciatore sicuramente meno dotato tecnicamente rispetto ad altri, ma un vero trascinatore. Il classico esempio di come puoi migliorare grazie allo spirito di sacrificio e alla concentrazione. Adesso non ho un vero e proprio idolo: come mio “pari ruolo” mi piaceva molto il primo Bale del Tottenham, un giocatore in grado di cambiare facilmente ritmo con le sue percussioni. Ma non sono sinceramente ossessionato dall’esigenza di carpire le movenze degli altri calciatori.
Tornando alla tua esperienza con la maglia del Genoa, quali sono i ricordi più belli che ti porti dietro?
È stata un’esperienza molto bella fin da subito. Il primo anno non mi aspettavo di giocare, visto che comunque arrivavo da una società piccola, rispetto a quella rossoblù. Invece mister Fasce mi ha aiutato tanto, inserendomi in squadra in pianta stabile, seppur ci fossero tanti ragazzi classe ’96. Certamente il primo salto di qualità l’ho fatto l’anno successivo, con Cristian Stellini (ex allenatore dell’Alessandria, ndr), che mi ha dato tanto soprattutto sul piano mentale. Mi ricordo che parlava molto spesso con noi, prendendoci per parte e spiegandoci le sue decisioni. Credo che questo atteggiamento sia positivo, perché si instaura un bel rapporto tra giocatori e allenatore. Il ricordo personale più bello, invece, è stata la panchina con l’Inter di due anni fa: mister Gasperini aveva convocato me e altri quattro miei compagni per quella sfida, che si giocava il 20 aprile 2016. Indubbiamente un’emozione fortissima.
Senza considerare che del Genoa Primavera ne sei diventato anche capitano.
Sì, anche quella è stata una bella esperienza. Ho fatto l’ultima stagione da capitano, anche al Torneo di Viareggio 2016 avevo indosso la fascia. E ha rappresentato un orgoglio, perché sai che i tuoi compagni fanno affidamento su di te. E perché sono molto attaccato ai colori rossoblù. Anzi, un giorno spero di poter tornare presto in Liguria, visto che il mio contratto è in scadenza ma il mio obiettivo è rinnovarlo.
A proposito di compagni di squadra, qual è il più forte con il quale hai giocato nelle giovanili?
Beh, Rolando Mandragora. Giocavamo insieme negli Allievi B del Genoa ma si vedeva già che aveva la personalità e la stoffa per sfondare anche nei campionati professionistici. Sono contento per lui, siamo amici e ci sentiamo spesso, ma gli rinnovo i complimenti anche qui per la carriera che sta facendo.
Hai parlato di Fasce e Stellini, due allenatori molto importanti per la tua crescita calcistica. Ma c’è un allenatore che porti particolarmente nel cuore?
Ti dirò, io mi sono sempre trovato bene con tutti i miei allenatori. Ti faccio un esempio: negli Allievi B c’era Donatelli, ex vice di Oddo a Pescara, che era molto duro con i suoi giocatori. Ma nonostante la sua severità, mi ha aiutato a migliorarmi, a capire che al Genoa non si scherza. È forse l’allenatore che mi ha fatto crescere di più sul piano personale. E poi indubbiamente Stellini. Con lui si faceva molta tattica, ci faceva vedere già i video delle altre squadre. Un mister preparatissimo che, seppur sia reduce dalla poco fortunata esperienza ad Alessandria, sono certo che riuscirà a emergere. Anche Maraia è un allenatore molto disponibile, che cerca costantemente il dialogo.
L’anno scorso passi al “calcio dei grandi”. La tua prima esperienza tra i professionisti è con la maglia del Pontedera. Ci dici perché hai scelto proprio la squadra granata?
Sul piatto avevo varie offerte, ma i miei procuratori – Giancarlo Tronchetti e Vittorio Tosto – già a marzo mi avevano parlato dell’interessamento del Pontedera e in particolare del suo direttore generale, Giovannini, che mi stimava molto. Sapevo che questo è un ambiente tranquillo, senza troppe pressioni, l’ideale per un giovane per poter emergere. Così ho accettato senza esitazioni. E ho realmente trovato una realtà a misura di giovane. Lo stesso mister Indiani, che può apparire talvolta un po’ burbero, mi ha aiutato tantissimo nel mio inserimento qui. Senza scordare Della Latta, mio ex compagno ora al Carpi, che conoscevo già essendo mio concittadino, che è diventato da subito un punto di riferimento importante.
Ti sei trovato talmente bene che hai deciso di rimanere anche questo anno…
Sì, credevo che fosse la cosa più giusta da fare per il completamento della mia crescita. Avevo richieste, anche importanti – lo volevano, su tutte, il Livorno e la Pistoiese dello stesso Indiani, ndr – ma ho preferito rimanere. Pontedera si è rivelata una scelta azzeccatissima, siamo un gruppo davvero unito e forte, nonostante l’età media sia tra le più basse della categoria. Personalmente sono contento di quello che sto facendo, non era semplice pensare di fare più di sessanta presenze in due anni. Confidavo che mister Maraia si rivelasse prezioso, lo era anche da secondo di Indiani. Questa stagione mi ha voluto fortemente sulla fascia sinistra, seppure io sia destro di piede. E credo che sia stata una scelta giusta, così posso accentrarmi e svariare con più facilità.
E i fatti ti hanno dato ragione. 42 punti, salvezza praticamente in tasca e possibilità di playoff: un campionato a dir poco esaltante. Cos’altro può fare questo Pontedera?
Hai detto bene, abbiamo fatto un campionato strepitoso. Non era facile, perché ci sono sulla carta squadre più attrezzate della nostra. Ma abbiamo dimostrato che siamo forti, che il gruppo c’è ed è coeso. Senza dimenticare la Coppa Italia, che ci ha visti uscire in semifinale solo dopo i rigori, contro l’Alessandria. Il raggiungimento dei playoff sarebbe la classica ciliegina sulla torta di una stagione memorabile. Mi farebbe piacere soprattutto per Caponi, Vettori e Grassi, i senatori del gruppo, che sono i più attaccati a questi colori e che meritano di giocarsi fino in fondo questa possibilità.
Anche il tuo campionato non è stato niente male. Bellissimo il tuo gol contro la Pistoiese…
Mi accontento (ride, ndr). Ho avuto un infortunio che mi ha frenato, in un periodo particolare della stagione come quello invernale. Ma sono contento per come si è svolta la stagione. Il mio gol alla Pistoiese è stato sicuramente il più bello della mia carriera: dalla sinistra ho fatto partire un destro a incrociare che si è infilato nel sette. L’avevo provato anche una con il Siena all’andata, ma avevo preso il palo. Si vede che era destino che dovessi segnare così.
Quindi come si affrontano le ultime quattro partite che mancano di qui alla fine?
Cercando di pensare gara dopo gara, senza fare troppi calcoli. Pensando che dobbiamo giocare con la leggerezza di chi non deve, a tutti i costi, raggiungere i playoff. Solo così possiamo prendere al volo questo treno che sta passando proprio vicino a noi.
Quale sarà il futuro di Francesco Corsinelli al termine della stagione?
Come ti dicevo prima, sono in scadenza ma dovrei rinnovare con il Genoa. Certamente sarebbe bello partecipare al ritiro con loro, l’ho già fatto e sono sensazioni che ti rimangono. Però credo anche che un giocatore della mia età debba proseguire la sua crescita a piccoli passi. Intanto devo trovare una società che crede in me, non importa che sia in B o in C. Certo, la serie cadetta sarebbe difficile da rifiutare ma non ho l’ossessione di arrivarci subito. Spesso la fretta o la frenesia rischiano di esserti nemiche.