Grazie al successo sulla Scozia (28-8) e soprattutto alla sconfitta dell’Inghilterra in trasferta con la Francia, l’Irlanda del rugby si è aggiudicata aritmeticamente il 6 Nazioni 2018. L’exploit dei verdi interrompe il dominio inglese (9/10 di vittorie nei tornei 2016 e 2017) e mostra le prime crepe nel progetto tecnico di Eddie Jones, coach australiano chiamato dalla Rosa per succedere a Stuart Lancaster dopo il disastroso mondiale casalingo del 2015.
L’ex ct del Giappone era riuscito, con pragmatismo e anche scelte rischiose (Dylan Hartley capitano, ecc.) a riportare al vertice il movimento che ha fondato questo e tanti altri degli sport di massa moderni, proponendosi come unica vera alternativa – ranking World Rugby alla mano – agli All Blacks pigliatutto. Tuttavia, l’evolversi di questo 6 Nazioni ha detto il contrario: quella inglese resta una nazionale di punta ma ha i suoi problemi, che gettano un’ombra sui prossimi impegni internazionali, Test Match estivi su tutto.
I primi scricchiolii li avevamo avvertiti a Murrayfield sabato 24 febbraio quando, in una gagliarda serata scozzese, il XV del cardo si portava a casa la prima Calcutta Cup a 10 anni dal successo del 2008. Un’affermazione non casuale ma figlia del lavoro portato avanti da Gregor Townsend e tutta la federazione, ma che certo ha tolto sonno e certezze agli ingombranti vicini di casa.
Le avvisaglie, comunque, c’erano state: nel 12-6 di Twickenham sul Galles (2/a giornata) s’era vista tanta difficoltà e non sempre talento individuale e cinismo bastano a questi livelli.
Ci concediamo un paragone – blasfemo a certe latitudini della blogosfera, eppure sincero – col calcio. Lo shock patito dal Napoli nel 2-4 con la Roma è figlio dell’eliminazione dall’Europa League per mano del Lipsia e ha prodotto, reazione a catena, l’ansia e la disillusione dello 0-0 di San Siro (con odore di sorpasso da parte della Juventus).
Allo stesso modo, con le dovute proporzioni, la doppia meta di Huw Jones e la marcatura di Sean Maitland a Murrayfield hanno finito per togliere agli inglesi tutte le certezze sul loro rugby.
È in quel momento che il 6 Nazioni ha smesso di essere un lungo discorso tra Irlanda e Inghilterra – magari rinviato allo scontro diretto dell’ultima giornata – ed è diventato una corsa aperta.
I colpi scozzesi hanno fatto vedere agli inglesi che non sono per forza i padroni dell’Emisfero Nord e che, anzi, ogni partita va sudata. Non per retorica, ma per davvero. Da quel ko è generato poi, pur senza togliere meriti alla Francia e al lavoro dell’ex ct azzurro Jacques Brunel, il risultato di sabato alla Stade de France: un 22-16 solo in parte mitigato dal punto di bonus difensivo portato a casa dai bianchi, battuti 2 volte consecutivamente per la prima volta dal 2015. Anche lì erano stati i Bleus i giustizieri e c’è un’altra statistica che fa paura: non accadeva dal 2010 (!) che la nazionale inglese perdesse due gare di fila nel torneo dell’élite europea.
Dipinto questo quadro, tutto pare apparecchiato per un’umiliazione sabato 17 a Londra. La sfida di Twickenham avrà – per i tifosi e gli appassionati di Sua Maestà – il saporaccio del match clou inutile ai fini della classifica, col titolo congelato e già bello che consegnato all’Irlanda. Ma è da lì, dal pomeriggio e dal tutto esaurito del tempio del rugby, che gli inglesi devono ripartire.
Con testa a chiudere dignitosamente il 6 Nazioni, evitare lo Slam alla rivale e soprattutto preparare giugno e test autunnali.