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Domenica 4 marzo 2018 non si è giocato a calcio in Serie A.
Il campionato, giunto alla sua fase cruciale nella lotta delle squadre per i vari obiettivi, è sotto shock per la scomparsa di Davide Astori, capitano della Fiorentina. Un lutto terribile, inimmaginabile.

Metà mattina, non ci si vuole credere: i primi siti che fanno uscire la notizia, la rincorsa su social e colleghi in cerca di conferme. O meglio, a caccia di smentite: la speranza, mani tremanti, è di trovare una smentita. Magari è una bufala, pensi, o magari Astori si è solo sentito male.
E invece no: tutto confermato, Davide è morto.

Come commentare una notizia del genere? Il primo istinto è fermarsi, non scrivere nulla. Perché non ci sono parole e tutto, sport in primis, passa in secondo piano. Eppure qua siamo: è giusto fermarsi ma è anche giusto parlarne, è il caso di rendere omaggio al giocatore e all’uomo.
Soprattutto: il calcio è nulla di fronte alla morte, alla fine della vita, al trauma e il dramma della famiglia. Eppure proprio il calcio, con le dovute proporzioni, può far sentire a famiglia, amici e club la vicinanza. L’idea è quella della “famiglia” estesa, dello sport come comunità.

Sì, perché compagni, colleghi, giornalisti, tifosi e semplici appassionati hanno fatto sentire, nonostante lo shock, la loro vicinanza. Ognuno con un pensiero e un ricordo, con la voglia di condividere, di mandare un abbraccio – virtuale e vero, virtuale e anche vero – a famiglia e amici.
Tutti noi, evidentemente, ci siamo immedesimati in questo fatto: chi per età anagrafica, chi perché gioca a calcio, chi per provenienza geografica. Ci siamo sentiti più fragili, di fronte alla morte. Instabili, provvisoriamente qua. C’è chi ha nella fede il proprio luogo di rifugio, chi ne trova altri, chi semplicemente si sente umano: ieri non c’è stato sportivo italiano che non si sia unito al lutto e al dolore, che non abbia provato a immaginare come possano sentirsi moglie e figlia di un giocatore che ha lasciato il segno.

La descrizione della carriera di Davide Astori, 14 presenze in Nazionale, 289 gettoni in Serie A, l’abbiamo letta tutti ieri. Con questo editoriale, rimandando al bello e commovente pezzo di Francesco Cucinotta – uno che Astori lo ha visto giocare decine di volte, a Cagliari – preferisco limitarmi a un applauso al calcio italiano tutto. Per come ha “gestito” la notizia, per la decisione di fermarsi e non giocare nella giornata di ieri. E per un abbraccio collettivo che, nella tragedia, ha ricordato a tutti due cose: è un gioco e quindi è una cosa seria, lo sport è una famiglia.