Italia

Maledetta domenica

Ci sono delle domeniche che apparentemente cominciano nel modo più normale e comune. Anche se quella è la tanto attesa domenica delle elezioni, a parte il rito delle urne, che effettivamente dà un pizzico di novità alla mattinata, tutto segue un filo regolare, classico, quasi rituale: un salto al market per acquistare qualcosa per il pranzo, poi un caffè al bar con la propria ragazza, infine il rientro a casa, perché alle 12:30 c’è Genoa-Cagliari. C’è da preparare il collegamento con la radio, dare in diretta le formazioni ufficiali e poi concentrarsi sulla cronaca per MondoSportivo. Nulla di eccezionale, insomma. Tutto secondo routine.

Purtroppo, però, il foglio con le formazioni è ancora sulla scrivania, la sfida fra rossoblù non si sarebbe giocata e quel collegamento alla radio avrebbe assunto ben altri toni, ben altri contenuti. Niente formazioni, solo cordoglio, la voce quasi rotta dalla commozione, il cuore in gola, il respiro affannato, le notizie in divenire riguardanti il possibile rinvio dell’intero turno di Serie A. Quella domenica così normale diventava di colpo mestamente unica e maledetta. Il volto di un ragazzo di 31 anni rimbalzava su tutte le emittenti televisive e su gran parte delle home del web. E restavo attonito, incredulo, ripetendomi che non poteva essere vero. Ma era troppo tardi per pensare che si trattasse di una bufala – magari lo fosse stato – ormai non si parlava d’altro. Era realtà purtroppo, una tristissima realtà.

Mentre attendevo le reazioni del mondo del calcio, vedevo in tv le lacrime di chi aveva conosciuto Davide Astori. E mi domandavo infinite volte come fosse possibile, come fosse possibile che un atleta professionista, costantemente sotto controllo medico, potesse morire così, da solo, in una camera d’albergo. Lontano dalla compagna e da quella bambina che dovrà crescere senza il proprio papà. Nel frattempo, la decisione ufficiale: non si gioca a Genova e in nessun altro stadio d’Italia. Per una volta ha prevalso il buon senso: sacrosanto che ci si fermi dinanzi a simili tragedie. E non rompano i coglioni quelli che dicono che il calcio è un’azienda e che lo spettacolo comunque deve andare avanti.

Davide era un professionista affermato e stimato, come possiamo pretendere che i colleghi, i suoi amici, inseguano un pallone in un giorno così triste? Perché in fondo il calcio è anche un gioco, ricordiamocelo. Chi ha conosciuto Astori giura si trattasse di un ragazzo semplice, sempre sorridente, mai al di sopra delle righe. Capitano non a caso, un leader silenzioso e di tutto rispetto, uno che la Nazionale se l’era conquistata col sudore. E se penso allo scorso 22 dicembre, quando mi passò accanto nella zona mista della Sardegna Arena, ricordo che sorrise e salutò, con classe e stile. D’altronde, Cagliari è stata la sua casa, in Sardegna ha vissuto sei anni, assaporando per la prima volta il successo. E ha saputo farsi volere bene.

Niente pallone per un giorno, quindi. L’unica cosa da fare era restare in silenzio, lasciare gli stadi vuoti e le scarpette nei borsoni. E chi se ne frega quando verrà recuperata la ventisettesima giornata. Oggi, ventiquattro ore dopo, fra i primi pensieri c’è ancora la tragedia di ieri, quel silenzio incredulo di una domenica maledetta che difficilmente dimenticheremo.