Editoriali

Parlare di “valanga rosa” è mortificante. Soprattutto per le donne

Abbiamo ancora tutti negli occhi la splendida prova di Sofia Goggia. La 25enne bergamasca ha pennellato le curve della pista di Jeongseon, conquistando la medaglia d’oro della discesa libera dei Giochi Olimpici Invernali di PyeongChang 2018. Il titolo a cinque cerchi della disciplina regina della velocità torna così in Italia dopo il successo dell’indimenticato Zeno Colò ai Giochi di Oslo 1952.

Sofia Goggia segue a ruota Arianna Fontana e Michela Moioli. Le tre regine che hanno riempito – almeno per ora – la casella delle medaglie dal metallo più pregiato in casa Italia. Arianna, 27enne valtellinese, giovane veterana. E, soprattutto, degna portabandiera della spedizione azzurra, con l’oro nei 500 m dello short track e l’argento da straordinaria capitana della staffetta nei 3000 metri. Michela, 23enne di Alzano Lombardo, che con la vittoria nel suo snowboard cross chiude nella maniera migliore un cerchio ideale che si era aperto quattro anni fa nella finale olimpica di Sochi, dove l’emozione e la voglia di stupire vennero offuscate da quel maledetto infortunio al legamento crociato del ginocchio.

Arianna, Michela, Sofia. In rigoroso ordine alfabetico. E, guarda caso, in rigoroso ordine temporale di successo. Tre grandissime campionesse. Tre grandissime don…! No, vade retro retorica. Le Olimpiadi – sia nell’accezione estiva che in quella invernale – sono il più grande evento sportivo internazionale. E hanno un pregio/difetto: quello di attirare l’attrazione mediatica di chi normalmente poco si intende degli sport che non sono annoverati tra i “soliti noti”. Aspetto positivo perché solo in questo modo queste attività possono avere quel minimo di visibilità per poter far scoccare la scintilla in qualche persona. Negativo perché può capitare che vi siano “teste gloriose” che, pur non sapendo distinguere un pattino da uno sci, pretendono di pontificare e di emettere sentenze in merito.

Così, queste “teste gloriose” vedono i risultati dell’Italia a PyeongChang 2018. Vedono i tre ori tutti al femminile. Vedono che i maschietti – soprattutto nello sci alpino – hanno arrancato. E allora retorica a tutto spiano. “Valanga Rosa“, “Sorelle d’Italia“, “Settore maschile da rottamare, via tutti” e così via. Senza accorgersi che, invece di volerle esaltare, questi signori “so tutto io” stanno un pochino offendendo le nostre atlete. In quanto le loro imprese sportive potrebbero essere offuscate dal loro essere donne.

Già. Perché, se esiste un settore della vita dove le differenze tra i sessi sono assolutamente risicate, ebbene, questo è lo sport. Soprattutto in questo periodo storico, dove la grande novità sono le gare miste. Da qualche anno a questa parte, infatti, abbiamo le staffette miste nel nuoto, il sincro misto nei tuffi e anche l’atletica leggera è a un passo dall’adeguarsi. Gli sport invernali non fanno certo eccezione. Nel biathlon, la staffetta mista è giunta alla seconda esperienza olimpica (con doppio bronzo per l’Italia). Nello sci alpino, sabato si disputerà il primo Team Event misto (con uomini e donne assieme) della storia olimpica. Quindi, non maschi e femmine, ma atleti. E basta.

Perciò, per una volta, non scadiamo nella solita retorica all’italiana. “Valanga rosa” poteva far notizia una quindicina di anni fa, non certo ora. L’unico vero colore della valanga di Arianna, Michela e Sofia è azzurra. Il colore dell’Italia sportiva dal 6 gennaio 1911, giorno di disputa dell’amichevole Italia-Ungheria 1-0 all’Arena Civica di Milano. Un colore che non ha sesso.

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Giuseppe Pucciarelli