Home » Il declino di Cesare

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L’avventura di Cesare Prandelli all’Al Nasr è terminata dopo neanche un anno. L’ex ct azzurro, insediatosi sulla panchina del club da maggio 2017, paga con l’esonero l’eliminazione dalla Presidents Cup, la coppa nazionale degli Emirati Arabi. Avvenuta ai rigori, contro una squadra che milita in seconda divisione, il Dibba Al-Fujairah. In più, in campionato la classifica non è particolarmente brillante, visto che l’attuale quarto posto estromette l’Al Nasr dalla lotta-scudetto.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Al di là dell’esonero odierno sorge spontanea una riflessione sul futuro di Cesare Prandelli. Ripercorriamo velocemente tutta la sua carriera da allenatore.

Dopo una lunga gavetta nelle giovanili dell’Atalanta approda al Lecce, ma si dimette dopo appena 18 giornate con la squadra in zona retrocessione. È a Verona, nel biennio successivo, che comincia a togliersi le prime soddisfazioni: il primo anno l’Hellas ottiene la promozione in A; il secondo si salva ampiamente, raggiungendo addirittura il nono posto in classifica (e la qualificazione all’Intertoto). Passa quindi al Venezia in B e, quasi avesse la bacchetta magica, conduce i lagunari al ritorno nella massima serie. L’anno successivo viene esonerato, ma nel 2002-2003 viene ingaggiato dal Parma. Con i ducali ottiene due quinti posti, che valgono naturalmente anche la qualificazione per l’Uefa. Prandelli sembra sempre più lanciato, e infatti lo prende la Roma. Ma nella capitale è costretto a dimettersi poco prima dell’inizio del campionato, a causa della grave malattia che colpisce la moglie. Dopo il forzato anno sabbatico, nel 2005 è la Fiorentina a metterlo sotto contratto. L’esperienza quinquennale in viola è molto positiva: dopo un undicesimo e un sesto posto, raggiunge due quarte posizioni (che significano anche partecipazione alla Champions League). L’ultima a Firenze non è particolarmente brillante e al termine della stagione accetta la proposta della Nazionale. Con ben ricorderete, Prandelli conduce l’Italia al secondo posto nel campionato europeo dietro alla Spagna campione; poi, pur qualificandosi per il Mondiale, non riesce a superare il primo turno eliminatorio. E con questo finisce la sua esperienza da ct.

Ed è a questo punto che la carriera di Prandelli prende una svolta sì, ma negativa. Accetta le lusinghe del Galatasaray ma viene allontanato dopo qualche mese, all’indomani della sconfitta – con annessa eliminazione dalla Champions – contro l’Anderlecht. Sta ben due anni fermo, poi sbarca a Valencia. Ma anche in Spagna non lascia il segno, anzi si dimette per divergenze di mercato con la società il 30 dicembre 2016, dopo appena due mesi.  A quasi 61 anni – li compirà ad agosto – la carriera di Prandelli è in forte discesa. Volendo essere ancora più pessimisti, forse è macchiata per sempre. Le ultime scelte fatte non sono state semplicemente infelici. Hanno danneggiato l’immagine di un allenatore che fino a pochi anni fa sembrava un predestinato. Cesare pensava di trovare all’estero quello che aveva perso in Italia, ma non c’è riuscito. E quando questo accade non può essere sempre colpa degli altri.

Nel calcio bisogna avere fortuna, è vero. Ma spesso la fortuna va anche aiutata a venirti incontro. Probabilmente la scelta di “redimersi” fuori dal nostro paese non è stata quella giusta. Prandelli adesso sa bene che non più sbagliare. Non sono ammessi più errori nelle scelte, perché significherebbero la fine prematura della sua carriera da allenatore. Negli anni in A, prima di approdare alla Nazionale, veniva considerato una persona umile. Ecco, se vuole rimettersi in gioco Prandelli ha bisogno proprio di tornare a essere considerato come tale. Una persona umile, che volta le spalle ai soldi arabi e che è disposta ad accettare offerte di club italiani meno ricchi o blasonati. Perché fondamentalmente, per tornare a saltare come un tempo, bisogna fare un passo indietro e prendere un po’ più di rincorsa.