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Foto: Twitter @FCBarcelona

Di ritorno da Barcellona mi sono chiesto cosa mi avesse impressionato di più dell’esperienza al Camp Nou, come inviato di MondoSportivo. Se l’atmosfera dello stadio, se l’incitamento incessante dei culés (così vengono soprannominati, per chi non lo sapesse, i tifosi blaugrana), se la comprovata organizzazione di gioco del Barça. Ci ho pensato a lungo. E sono arrivato a una conclusione e a un nome ben preciso: Leo Messi. Molti penseranno “ah beh, che originalità rimanere impressionato dal giocatore più forte del mondo!”. E in effetti, se guardiamo solo la superficie del discorso, non hanno torto. Tutti conoscono le doti dell’asso argentino, quello che sa fare con il pallone. Dire che è un fuoriclasse è un’ovvietà, una banalità.

Ma Messi non è semplicemente un fuoriclasse. A Barcellona è un vero e proprio re, leader incontrastato di una squadra che stravede per lui. Lo si nota da ogni movimento in campo: i suoi compagni lo cercano costantemente, sia in fase di semplice impostazione che, naturalmente, in fase realizzativa. E lui li ripaga cantando e portando la croce, prendendosi gran parte del peso della squadra sulle sue spalle. Facendo dribbling, creando superiorità numerica e mettendo nelle migliori condizioni i compagni di restituirgli il pallone (o di tirare in porta). Messi è un sole intorno al quale ruotano gli altri dieci pianeti. Tutti a sua disposizione. E non è tutto. Perché il calore della gente riesce a intensificare la maestosità del numero dieci. Fin dal riscaldamento per poi arrivare alla lettura delle formazioni si percepisce, dall’ovazione riservatagli, che molti tifano per Messi, oltre che – o addirittura prima che – per il Barcellona. Quasi come se Leo fosse un tennista di successo o un ciclista che si appresta ad attaccare in una tappa di montagna.

Recentemente Pep Guardiola ha detto: “I favoriti per la Champions sono quelli che hanno Messi”. Una dichiarazione semplice ma intrisa di significato. Il Barcellona non è favorito perché è il Barcellona. Ci sono altre squadre che hanno quantomeno la stessa organizzazione di gioco. Lo è perché ha il valore aggiunto che gli altri non possiedono. Un’ammissione che, sotto sotto, vuole dire anche “signori, ok, a Barcellona ho vinto tanto. Ma senza Messi sarebbe stata tutta un’altra storia”.