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Speriamo che sia femmina

Quelli un pochino più grandi di età ricorderanno “Speriamo che sia femmina”, film del 1986 diretto da Mario Monicelli con un cast di attrici spettacolari (Liv Ullmann, Catherine Deneuve, Giuliana De Sio, Stefania Sandrelli, Athina Cenci e Lucrezia Lante della Rovere) in cui veniva tratteggiato un universo tutto al femminile e dove il regista esprimeva la sua speranza nei confronti di queste donne, apparentemente fragili ed invece forti e consapevoli della loro nascosta superiorità morale e fisica. Nella scena finale, una allegra tavolata a cui partecipano tutte le donne del casale di campagna in cui sono ambientate le vicende narrate, c’è anche Franca, figlia della protagonista rimasta incinta del “bischero” che poi non ha sposato: vista l’assenza di uomini, esclusion fatta per lo zio Gugo, ormai demente, si spera davvero che il nuovo nato sia femmina in modo tale da non trovarsi in minoranza.

Questo inciso mi serve per riallacciarmi ad una decisione politica, ovvero alle misure sullo sport contenute in Legge di Bilancio difese a spada tratta dal Ministro dello Sport (ora dimissionario) Luca Lotti: per la prima volta è stato approvato con voto definitivo in legge finanziaria alla Camera il provvedimento che consentirà già dal 2018 alle sportive italiane di poter contare su un’indennità che copra i mancati introiti dell’attività sportiva dovute ad una gravidanza.

È stata l’azione combinata del Ministero dello Sport guidato da Luca Lotti, della Presidenza del Consiglio e del Dipartimento delle Pari Opportunità a portare a questo risultato: la maternità delle atlete adesso è legge e si introduce un fondo, con un finanziamento iniziale di circa 2 milioni di euro per il primo anno (successivamente si aggiungeranno anche altri stanziamenti) per garantire il sacrosanto diritto delle atlete di vivere la gravidanza come una gioia e non come una sofferenza. Manca adesso solo un ultimi tassello: il decreto attuativo che definirà al meglio le modalità per accedere ai fondi.

Si tratta di un traguardo storico per il nostro paese, dove le atlete avevano un rapporto complesso con la maternità e dove tantissime campionesse dovevano attendere la fine della propria carriera sportiva per coronare il sogno di diventare madri, sia per evitare di perdere la forma fisica e quindi di dover rimandare troppo il ritorno all’attività, sia perché le atlete, fino ad oggi, non godevano del diritto di maternità: se infatti le donne lavoratrici ricevono un trattamento privilegiato durante il loro periodo di gestazione, le atlete, fino ad oggi, erano praticamente escluse dal riconoscimento di tale diritto. Questa decisione è un risultato storico per lo sport femminile italiano che apre la strada ad una nuova visione dello sport e delle sue regole.

Dopo tanti anni di parole e promesse non mantenute le battaglie hanno avuto ragione e si è arrivati ad un risultato storico. Ma non è il momento di fermarsi sugli allori, ora c’è da lottare in maniera ancora più dura per ottenere la riforma della Legge 91/1992, quella che definisce gli sport professionistici e che relega attualmente le atlete di qualunque disciplina al rango di dilettanti. In altre nazioni le cose si sono già mosse (La Football Federation of Australia ha stipulato un accordo triennale con la Seven Consulting per sponsorizzare la Nazionale di calcio femminile australiana e in Norvegia la Federcalcio del Paese scandinavo e il sindacato calciatori hanno firmato la parità salariale per i calciatori e le calciatrici della Nazionale): aspettiamo il prossimo regalo.