NFL – MSChoice: questione di singoli
Molti analisti scrivono di quanto sia inutile pensare che in NFL sia tutto all’insegna della sorpresa tattica. La differenza non la fanno gli schemi (che a loro parere possono essere tranquillamente desecretati tanto sono intuibili dagli avversari) ma i singoli – e l’esecuzione dei giochi.
A caldo, sono in forte disaccordo.
Ma come ogni volta che ci si ritrova di fronte a una tesi spiazzante, è meglio partire dai dati piuttosto che dalle proprie interpretazioni, istintive, della realtà, che possono essere del tutto sbagliate in partenza.
E in effetti questa stagione NFL è costellata di record di singoli che sminuiscono il discorso tattico.
Alvin Kamara questa domenica ha raggiunto 1094 yard dalla linea di scrimmage, tra ricezioni e corse, e i 9 touchdown.
Un altro rookie pazzesco è stato Kareem Hunt, runningback di Kansas City, primo nella storia ad andare oltre le 100 yard dalla linea di scrimmage nelle prime sette gare.
Poi c’è Todd Gurley, che con la vittoriosa prestazione contro New Orleans del weekend raggiunge le 1300 e gli 11 TD. Gli altri tre giocatori a riuscirci nella storia dei Rams (Dickerson, Faulk e Hirsch) sono nella Hall of Fame.
Tom Brady: 27 partite, con quella contro i Dolphins di domenica, con 4 touchdown e 1 o meno intercetti. Secondo ogni tempo dopo Drew Brees, al terzo posto c’è Peyton Manning.
Julio Jones invece, ricevitore di Atlanta, ha sorpassato Lance Alworth – sì, anch’egli nella Hall of Fame – come maggior numero di yard ricevute nelle prime 90 partite giocate in NFL.
Se valutiamo quindi l’arca della gloria come ideale certificazione di quanto bene stia facendo un giocatore, tutti coloro che ho nominato meritano di validare la tesi iniziale. Gurley sta con Faulk e Dickerson, Jones con Alworth, Brady con Peyton e Brees.
L’esecuzione dei singoli permette di accumulare statistiche personali e le statistiche vittorie. Le vittorie i Playoff, e i citati ci vanno tutti ai Playoff tranne Hunt forse.
Troppo facile. Rimangono molte incertezze su questa tesi.
Gurley l’anno scorso non era coinvolto nel gioco aereo e fallì miseramente; cambiato coach, ritrovati i numeri e le vittorie per i suoi Rams.
Hunt, dopo l’inizio raccontato, sta soffrendo immensamente il momento buio dei suoi Chiefs ed è reduce dalle sole 20 yard corse nel weekend passato.
Le 27 vittorie di Brady con quelle statistiche sono arrivate tutte con lo stesso coach e stesso coordinatore dell’attacco. Quelle di Brees pure.
Jones ha sempre giocato addirittura con lo stesso QB (Matt Ryan) e tutte quelle yard sono anche del prodotto di Boston College.
Piantiamola: trovare un giocatore trasversale che dimostri che il singolo fa la differenza non è esercizio per chi scrive di football. Mentre l’ipotesi sull’esecuzione è molto più lineare e appoggiabile, le considerazioni sui singoli sono poco consigliate, e rientrano nei “pareri” più che nelle ipotesi. Per il momento bisogna fermarsi qui.
Un capitolo a parte si apre in quel di Seattle.
Russell Wilson dovrebbe essere, già mentre vi scrivo, incoronato MVP della stagione. E non perché con la vittoria contro i San Francisco 49ers abbia firmato il record di vittorie per un QB dopo una sconfitta – 28-4, spaventoso – ma perché è l’unica persona a giocare a Seattle.
La difesa è preda della scomparsa della Legion of Boom, il gruppo di giocatori (ora tutti infortunati) delle secondarie che avevano portato gli Hawks a due Super Bowl, e la linea offensiva non è mai stata forte in tutta la carriera del giocatore da Wisconsin.
Guardatevi una partita di Seattle. È un inseguimento continuo al loro QB. Una caccia all’uomo di 60 minuti.
Quando non si riesce a spiegare perché una squadra ha un buon record – e quello di Seattle è ampiamente positivo – a quel punto entrano in ballo le individualità. Non prima. Nessuno esegue a Seattle, nessuno ha statistiche pazzesche, e Pete Carroll non è sorprendente nella gestione delle partita.
Semplicemente Russell Wilson è il più forte. Lui sì che, ma badate è un caso isolato, fa la differenza.