Editoriali

Atleti sull’orlo di una crisi di nervi

È cronaca della scorsa primavera l’attacco al pullman del Borussia Dortmund avvenuto prima di una partita di Champions League contro il Monaco. Nell’occasione la società tedesca aveva, notizia di qualche giorno dopo, assoldato uno psicologo per assorbire uno shock che, a detta dell’allenatore Thomas Tuchel, aveva minato la stabilità mentale e la voglia di giocare dei suoi.
Legittimo: danno e soluzione. Mi sembra una pratica normale, anzi più che consigliata. Il rapporto tra psicologia e sport trova però, come molti altri aspetti, estremizzazione dall’altra parte dell’oceano, dove andiamo prima di ritornare a lidi calcistici ed europei.

Nel 2014 una atleta di University of Pennsylvania si suicida nel suo campus. Nei successivi 13 mesi altri cinque sportivi della stessa istituzione fanno altrettanto. Il caso che scoppia porta a un libro e a misure straordinarie che cambiano il rapporto tra psiche e sport nei college americani, come spiegato qui.

Perché la stabilità mentale sia una problematica così importante nello sport collegiale è evidente. I ragazzi che escono dai licei americani lo fanno con moltissime aspettative, le loro e quelle di altri come genitori, insegnanti, allenatori. Una volta arrivati all’università sulle ali di una lauta borsa di studio sportiva, sentono l’urgenza di doverla in qualche modo “giustificare”, replicando a un livello più alto e non sempre raggiungibile prestazioni sportive stellari.

Combattono contro il loro stesso standard, rispetto al quale tutti sono abituati a valutarli; ma ricordiamo, la percentuale di sportivi che raggiungono il professionismo è minima (1,4% dei calciatori di college raggiunge la MLS, 1.5% dei giocatori di football raggiunge la NFL – dati NCAA), quindi è del tutto lecito aspettarsi di non riuscire a emergere nello sport. Ma non per questo mettere il concetto nella testa di un ragazzo o di una ragazza di 17 anni che vive per lo sport è facile.
Come tutti i processi mentali, possono occorrere anni di lavoro per migliorare da questo punto di vista. La stessa atleta citata in precedenza aveva visto il suo psichiatra due giorni prima di togliersi la vita.
Per questo motivo il canovaccio “danno-soluzione” non funziona. Ed è per questo motivo che negli Stati Uniti si è sviluppato quello che si chiama “intervento proattivo”, programma che ora nella maggior parte delle università si occupa di raccogliere ansie e depressioni dei giovani atleti per neutralizzarle o anche semplicemente evitare conseguenze mortali. Oltre a questo, appunto proattivamente, prepara quegli atleti che non hanno (ancora) tali problemi.

Il 26% dei calciatori – e un abnorme 37% degli ex calciatori – soffre di depressione in Italia. Le percentuali si alzano di circa il 10% nel Regno Unito.
Michael Phelps, prima degli ori olimpici che non ho bisogno di riassumere qui, pensò al suicidio e ora dichiara: “Fuori dalla vasca io non ero niente!”
Pensiero comune questo: le luci della ribalta, lo sport, l’adrenalina e la dopamina che scorrono a fiumi, la vittoria e la sconfitta. Da un giorno all’altro può finire tutto. Tutta la tua vita è scomparsa.
E non c’è verso di metterla giù più edulcorata, meno triste. È così, non c’è via d’uscita.

Non sta a noi valutare le turbe mentali dei campioni di cui raccontiamo le gesta su questo sito. Ma voglio fare un esempio: dichiarando che i mondiali di Russia sarebbero stati la sua ultima manifestazione giocata, Gianluigi Buffon si è messo nella stessa identica situazione di quegli atleti dell’università della Pennsylvania.
Si è creato uno standard, non l’ha raggiunto e forse buona parte di quelle lacrime dopo Italia-Svezia raccontano questa storia. Perché ci sta pareggiare in casa con una squadra tutta rintanata nella sua area, il pallone è rotondo e una volta può anche non entrare in porta. Ma spiegare questo a Buffon, ora, pare difficile. Perché lui pensava a concludere la carriera a Mosca, al suo sesto mondiale.
Un lavoro proattivo su uno dei portieri più grandi che siano mai esistiti, probabilmente, gli avrebbe evitato di dichiarare, non più tardi del mese scorso, che Russia 2018 sarebbe stato il suo canto del cigno.

Il fatto che il Borussia Dortmund abbia assunto una tantum uno psicologo è una non-notizia che però colpisce e viene pubblicata in Italia. L’assunzione di psicologi professionisti a completa disposizione di giovani atleti – che ricordiamo sono degli amatori – è per gli Stati Uniti qualcosa di dovuto, che non stupisce.
Questa la differenza abissale di consapevolezza tra Europa e America riguardo i problemi di salute mentale degli sportivi. Una differenza che ci auguriamo venga annullata al più presto.

Published by
Dario Alfredo Michielini