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Russia 2018 – Ci siamo disamorati di un Belgio ancora più forte

Si è detto e scritto tanto sul Belgio di Wilmots, sugli obiettivi non raggiunti a Euro 2016 dopo un Mondiale tutto sommato soddisfacente nel 2014. La verità è che il Belgio deve ancora ancora dimostrare la forza di cui si è tanto parlato e, dopo un paio d’anni ad osannare, forse l’opinione calcistica non è più così convinta dell’exploit belga. Sta a Roberto Martínez calamitare di nuovo l’attenzione sui Diavoli Rossi, dimostrando che quel ranking da quinto posto non è solo matematica applicata al pallone.

Dopo la sconfitta ai quarti dell’Europeo contro il Galles e dopo il cambio in panchina il Belgio ha ripreso a schiacciare anche i sassi, qualificandosi come prima europea (Russia esclusa in quanto non ha sostenuto le qualificazioni) ai Mondiali del 2018. È il 3 settembre 2017 la data incriminata, il giorno in cui una Grecia sfortunata, che all’andata aveva dovuto concedere il pareggio ai Diavoli Rossi a un minuto dal termine, si deve arrendere al destro da fuori di Vertonghen e al fisico imponente di Lukaku. Gol mondiali, come gli otto totali rifilati alla Bosnia prima e dopo il giro di boa, a far intendere che, insomma, il girone non doveva avere sorprese.

Il Belgio chiude le sue qualificazioni a Russia 2018 con una differenza reti maggiore di 30 gol, imbarazzante per le avversarie, segnando a valanga con Estonia e Gibilterra. Lungi da me criticare una difesa che ha subito 6 gol in tutto il girone, ma quando di fronte c’è una squadra capace i Diavoli Rossi si difendono con l’attacco, questo perché il reparto arretrato è debole? Sicuramente no: Vertonghen, Alderweireld, Meunier e compagnia bella sono invidiabili, anche se i loro rimpiazzi lasciano a desiderare. La mia analisi mette invece in luce un centrocampo che è in difficoltà nel sostenere una mediana a due.

Non sempre la squadra di Martínez gioca così, ma la maggior parte delle volte sì. Era la maniera tipica di Wilmots ed è rimasta tale, a mio avviso, per permettere di inserire in numero più alto possibile gli uomini d’attacco, cioè i veri fenomeni di questo Belgio. Rinunciare a Mertens o a Carrasco o ad Hazard o a De Bruyne, insomma, non è certo facile: già c’è da fare una cernita. Ne risente la mediana a due, che avrebbe compiti di copertura della difesa ma che spesso non ha i giusti interpreti. Questo perché sei zeppo di centrocampisti votati all’attacco, che in una squadra normalissima potresti pure piazzare sulla trequarti: parliamo di Witsel e di Tielemans (parleremmo anche di Nainggolan, ma ci si capisce poco o nulla del suo rapporto con la Nazionale). Azzardare De Bruyne lì darebbe scarso compenso e l’unico vero mediano di valore resta il giovane dell’Anderlecht Dendoncker.

Ma di cosa stiamo parlando? i giocatori sono quelli e la loro qualità corrisponde a quella mostrata con il proprio club: se fosse così direi schiettamente che il Belgio è sicuro almeno della quarta posizione, ma proprio a mani basse. Il problema si pone quando prendi tre gol dalla Bosnia e ai Mondiali non è sempre detto che tu riesca a farne quattro. Martínez ha lavorato molto bene con una squadra già consapevole della propria forza, ma si trascina in eredità una mediana con poco filtro e troppo facile da scavalcare, probabilmente mostruosa in costruzione tesa all’attacco, ma poco efficace in copertura e in interdizione.

Chiudiamo qui il viaggio alla ricerca di una falla nella portaerei belga, perché fra il Lukaku degli ultimi due anni, il Mertens maradonesco del Napoli, un Hazard al massimo della condizione, un Batshuayi a misura contiana e chi più ne ha più ne metta, non sapremmo proprio come spiegarci un altro flop ai Mondiali: meglio mettere le mani avanti. Per ora Martínez gongola.