Una vittoria altamente probabile
Ben Reiter atterra a Houston, siamo nel giugno del 2014. Gli hanno commissionato un articolo fiume sul baseball da Sports Illustrated e lui ha deciso di andare nella città texana a scoprire cosa stia succedendo agli Astros. L’ha fatto dopo aver notato che tre giocatori illustri sconosciuti attorno ai 25 anni degli Astros battono e lanciano come mai in carriera e che la squadra è al primo mese con più vittorie che sconfitte da quattro anni a quella parte.
Di quei giocatori (Dallas Kuechel, José Altuve e George Springer) vuole parlare con Sig Mejdal, direttore dello scouting degli Astros. Lui gli dà il benvenuto in un Minute Maid Park desolatamente vuoto; nel 2012 e 2013 – sommati – gli Astros hanno fatto gli stessi spettatori del solo 2007. Per tre volte consecutive la prima scelta assoluta al draft era stata loro, come privilegio per la peggiore squadra in MLB. Il monte stipendi è inoltre il più basso, descrivendo una realtà contraddistinta da mediocrità sul campo e fuori. Però c’erano quei tre giocatori, e Mejdal a Reiter piace perché è un ex impiegato della NASA, un matematico geniale che al tempo stesso riconosce la potenza dello scouting “classico”. Non è un allievo del moneyball ma ne è al tempo stesso il più grande erede.
Da Houston, Reiter torna quindi col titolone: “Ecco a voi i campioni della World Series del 2017!”
Lo propone al suo editore che dà il benestare. Springer in copertina, dentro una straordinaria intervista biografica a Mejdal.
A Saint Louis si accende il computer di Chris Correa, direttore dello sviluppo dei giocatori dei Cardinals, dove Mejdal e il GM degli Astros Jeff Lukhow lavoravano prima di andare in Texas. Correa è già da due anni che hackera il sistema informatico degli Astros, ben conscio delle capacità dei suoi ex colleghi. Ma – e lo dichiarerà nel processo che alla fine gli darà 46 mesi di prigione per spionaggio industriale – è quell’articolo di Reiter a convincerlo che non sbaglia nel voler spiare Houston.
Ma Correa non è l’unico mastodontico problema di quel poverissimo 2014 degli Astros. A Davenport, in Iowa, piove a tal punto da far esondare il Mississippi: lo stadio dei Quad City River Bandits, affiliati agli Astros, diventa un’isola ed è inutilizzabile. Lo stadio di un altro affiliato va a fuoco.
Brady Aiken, prima scelta assoluta di quel draft, fallisce le visite mediche: ha un gomito infiammato e gli Astros gli offrono un bonus molto inferiore alla prima proposta. Aiken rifiuta, prima scelta sprecata.
Ecco, probabilmente l’editore lì si pente: va bene tutta l’analisi statistica, ma che questi qui da vero e proprio zimbello della Nazione arrivino a vincere la World Series in tre anni non è possibile.
E invece proprio la possibilità che i giocatori maturino nel sistema di Mejdal e Lukhow li porterà dove sono ora, cioè al titolo di campioni del Mondo. Le decisioni, prese con in testa la migliore probabilità di vincere nel lungo termine, sono state facili per il management. Era “altamente probabile” Houston diventasse una potenza MLB, e se lo aveste chiesto in quel 2014 questi due l’avrebbe detto anche a voi come fatto a Reiter.
L’esempio di questa politica sono proprio quei tre: Kuechel vince un Cy Young Award, Springer è l’MVP della World Series 2017, Altuve partecipa a cinque All-Star Game. Il monte stipendi ridicolo in quel 2014 (un decimo di quello dei Los Angeles Dodgers) permette a Luckhow di innestare pezzi da novanta su una buona base tecnica, al giusto prezzo. Nel 2015 gli Astros si fermano al secondo turno di Playoff e dopo un 2016 non eccellente dominano la loro division nel 2017 con 20 vittorie di vantaggio sugli Angels. Altuve viene votato miglior giocatore della lega, nei Playoff cadono Red Sox, Yankees e Dodgers: la World Series 2017 è davvero, come profetizzato da Reiter, nel sacco.
Per un caso del destino – ulteriore – provate a immaginare quali siano le tre franchigie che investono di più in stipendi (dal 180% al 150% del budget degli Astros): Dodgers, Yankees, Red Sox.
Capolavoro, profezia, scienza. Come spesso accade, il baseball ci mette di fronte a emozioni che lasciano il diamante, vanno indietro di anni per stupirci e renderlo quello che è nel contemporaneo: il più grande gioco che esista.
Come altro definireste uno sport in cui la vittoria non è ciecamente legata ai valori in campo, ma in cui è contemporaneamente possibile prevedere con ragionevole fiducia che, tra tre anni, la peggiore squadra della lega vincerà il titolo? Sig Mejdal e Ben Reiter vi direbbero che la vittoria degli Astros era “altamente probabile”. Voi non credete loro, continuate a stupirvi, continuate ad amare il baseball.