Jameis Winston è il primo quarterback nella storia della NFL a passare per 4000 yard nelle prime due stagioni giocate (2015 e 2016) e detiene un’altra serie di record di produzione in relazione alla giovane età senza eguali nella storia della lega. Nonostante bagni il naso ai più grandi della storia – Peyton Manning, Brett Favre, Dan Marino, Russell Wilson per esempio – per quanto riguarda i numeri, i suoi Tampa Bay Buccaneers si apprestano alla terza stagione consecutiva senza Playoff dopo averlo scelto al draft. La sconfitta di domenica contro i Carolina Panthers è stata disarmante: ai nero-azzurri è bastato recuperare Luke Kuechly per disinnescare gran parte dell’attacco Bucs, permettergli di segnare solamente 3 punti in tutta la gara e uscire dal campo con il 2-5 che, salvo sorprese, li condanna a pensare al prossimo draft.
L’imbarazzante 16% di conversione sui terzi down è il dato che meglio ci spiega la debacle grigio-rossa. L’attacco di Dirk Koetter, head coach di Tampa Bay, è stato costretto per tutto il pomeriggio a terzi tentativi lunghi, prevedibili per la difesa degli ospiti.
Esiste una “gabbia”, autoimposta, attorno a Winston. Il piano partita prevede che l’attacco giochi in modo veloce, senza huddle, secondo una serie di giocate prestabilite. È vero, esiste varietà con l’utilizzo di formazioni molto diverse tra loro, ma nella maggior parte delle partite ciò finisce per danneggiare il gioco aereo.
I Bucs crescono in fiducia offensiva a partita in corso, e un esempio è il grande secondo tempo della settimana scorsa contro Buffalo, ma d’altra parte mancano di creatività seguendo un canovaccio prestabilito. Contro i Bills l’utlizzo di O.J. Howard prima come bloccatore e poi come ricevitore aveva mandato in tilt la difesa e garantito al tight end al primo anno due touchdown facili. Contro i Panthers tale meccanismo non si è innescato, lasciando senza quell’arma Winston.
La produttività di Winston è quindi figlia di un numero esorbitante di lanci a partita – 567 contro i 420 circa di Tom Brady nel 2016 – più che dall’efficacia di essi.
Quindi il bandolo della matassa per “Jaboo” sembra lontano. Da una parte c’è un attacco di sicuro talento, ma dall’altra un numero di palle perse preoccupante (solo Blake Bortles ha perso più palloni di Winston in NFL negli ultimi 3 anni) e l’incapacità di trovare un ritmo di gioco che possa favorire le qualità del quarterback da Florida State.
In più ci si mette la spalla, che in queste ore tiene con il fiato sospeso la Florida, e l’incapacità del giocatore di riconoscere situazioni di pericolo come nel fumble che domenica ha fermato il migliore possesso dei suoi.
Possiamo concludere che i numeri gargantueschi stiano mascherando il reale valore di Winston, perlomeno in questo specifico momento della sua carriera.
E stiano portando i Bucs sull’orlo di una crisi mentale molto profonda. In difesa gli straordinari Lavonte David e Kwon Alexander tengono a galla la squadra ma la pass rush latita, problema mai risolto in off season. I ricevitori, che avrebbero nel coordinatore offensivo un coach a essi dedicano, spiccano per discontinuità: un drop dopo l’altro DeSean Jackson e Mike Evans sono cercati meno del dovuto e in modo impreciso, i tight end se non sfruttano il piano partita sono una risorsa di secondo livello e i checkdown ad Adam Humphries rendono il gioco prevedibile come successo contro i Panthers.
Come detto, a 2-5 e in una division con Saints, Falcons e Panthers sembra irreale pensare a una ripresa. I Bucs sono vittime di loro stessi, e così il loro quarterback. La loro identità offensiva è anche la loro più grande limitazione: al prossimo coaching staff il compito di dare al quarterback che lancia più yard in NFL a soli 23 anni la dimensione adatta per emergere anche nella colonna delle vittorie. L’unica che conti qualcosa.