Torna la nostra rubrica dedicata ai giovani e promettenti talenti della Serie C; ci eravamo lasciati nel corso della passata stagione ad Agrigento parlando di Luca Palmiero (oggi al Cosenza) e, da un’isola all’altra, iniziamo la stagione 2017-2018 da Olbia e dal terzino sinistro, di proprietà del Cagliari, Matteo Cotali.
Matteo è nato a Brescia il 22 aprile 1997, è alto 177 cm ed è il “classico” terzino sinistro con spiccate doti offensive. Nonostante la giovane età, Matteo si può considerare già un veterano del club gallurese, avendo avuto un ruolo importantissimo sia nella promozione dalla Serie D alla ex Lega Pro sia nella salvezza raggiunta nel corso della scorsa stagione culminata con la vittoria di misura ad Arezzo in occasione dell’ultima giornata.
Ciao Matteo, mi racconti dove hai tirato i primi calci a un pallone? Cosa ricordi di quell’epoca, quali allenatori hanno rivestito un’importanza determinante? E, se ti va, mi racconti qualcosa della tua famiglia?
Ho iniziato al Sant’Andrea giovanissimo, dopo un paio di anni sono andato negli Esordienti del Lumezzane dove ho giocato per altri tre anni. Praticamente, fino ai 13 anni: ho avuto tre allenatori al Lumezzane ai quali devo moltissimo e che corrispondono ai nomi di Cristiano Donà, Bresciani e Bertoloni. Tutti e tre mi hanno insegnato tanto sia dal punto di vista calcistico sia dal punto di vista umano. Addirittura, Bresciani, nel corso dell’ultimo anno al Lumezzane, mi veniva a prendere a casa per andare al campo prima degli altri e poter lavorare sulla tecnica personale. Lui mi ha sempre sostenuto e creduto nelle mie doti da calciatore che, forse, altri non hanno mai visto. Importanti sono stati anche Donà e Bertoloni perché mi hanno insegnato a giocare a calcio proprio dalle basi quando ero più piccolo. Per quanto riguarda la mia famiglia, sono stato legatissimo a mio nonno: purtroppo è venuto a mancare nel 2009. Ho anche un piccolo tatuaggio che me lo ricorda ed è stato per me una figura portante, lo vedevo come un superuomo. In generale, tutta la mia famiglia mi è stata sempre vicina, sia i miei genitori che i miei fratelli maggiori: mi sono stati vicini non sono nella mia vita calcistica, ma anche in quella di tutti i giorni.
Poi, ti sposti a Milano, sponda nerazzurra. Cosa ti va di raccontarmi di quell’esperienza?
All’Inter sono stato quattro anni, praticamente la Berretti perché la Primavera l’ho svolta a Cagliari. Ovviamente, è stata una bellissima esperienza: l’Inter è un altro mondo senza nulla togliere al vivaio del Lumezzane che è anch’esso molto bene organizzato. L’Inter crea sotto ogni punto di vista i giocatori e, pescando in tutta Italia, non solo il livello è più alto, ma è anche più difficile entrare a farne parte. Viaggiavo quotidianamente da Brescia e non mi ha mai pesato sinceramente, l’ho fatto sempre molto volentieri. Eppure, ripensandoci, sto meglio adesso che ho maggiore stabilità: è stato molto impegnativo; in ogni caso, non volevo lasciare la scuola che frequentavo a Brescia e, in fondo, tornare dalla famiglia fa sempre piacere. In un vivaio come l’Inter, inizi a diventare un vero e proprio calciatore. Ho avuto tre allenatori: Cerrone, Corti e Mandelli, tre persone perbene che mi hanno sempre sostenuto e aiutato. In quegli anni ho vinto il titolo nazionale Giovanissimi e Allievi e, in generale, con allenamenti quotidiani e con compagni di alto livello (molti sono in Serie B, ma anche in Serie A) si migliora tantissimo: bisogna stare sempre sul pezzo e non bisogna mai accontentarsi e allenarsi al massimo.
Dall’Inter passi al Cagliari. Com’è stato doverti trasferire e allontanarti dalla famiglia?
Per scelte tecniche che non mi comprendevano, sono passato al Cagliari ed è stata un po’ la mia fortuna. Pensavo che trasferirmi sarebbe stato difficile e perdipiù non avevo ancora vissuto da solo. In ogni caso, è stata la scelta migliore che potessi fare: è successo tutto in fretta e mi dissi ‘o la va o la spacca, vediamo come va’. Mi sono subito trovato molto bene, si impara in fretta e vivere da soli è una lezione di vita. Inoltre, ho avuto la fortuna di andare a Cagliari con un mio compagno dell’Inter, ossia Bernardi, per cui ci siamo sostenuti e appoggiati a vicenda.
Con la Primavera del Cagliari ti prendi anche qualche soddisfazione realizzando qualche assist: te ne ricordi uno tanto da descrivermelo?
Certo, proprio contro la mia ex squadra: l’Inter. Era la terza giornata (minuto 36′ del primo tempo ndr) e feci l’assist dell’1-0 a Murgia, che adesso è con me a Olbia. Fu un contropiede, palla in profondità che improvvisamente arrivò sulla sinistra, portai la sfera avanti e di sinistro effettuai un traversone che Murgia, di testa, depositò in rete. Finì 2-0 e fu una grandissima soddisfazione. Eravamo dei ‘disgraziati’ (se la ride ndr) e non ci aspettavamo niente; invece, alla fine i risultati arrivavano e ci trovavamo bene sotto tutti gli aspetti: eravamo un gruppo molto unito. Finimmo il girone di andata al secondo posto; poi, in quello di ritorno, tra infortuni e cessioni, ci dovemmo accontentare della quinta posizione e fummo eliminati dal Torino nei playoff.
Finalmente arrivi a Olbia in Serie D ed è sùbito promozione tra i Pro. Cosa ricordi di quella stagione?
Dopo sei mesi al Cagliari, vado a Olbia. Anche qui ho trovato un gruppo fantastico e grandi ambizioni. Il momento più bello di quella stagione è stato sicuramente il playoff contro la Torres che ci ha consentito di andare in Terza Serie, anche perché c’è una forte rivalità tra le due tifoserie.
A quell’età, ossia a 18 anni, essere già titolare in gare così importanti e davanti un pubblico numeroso, tremano un po’ le gambe?
Lì per lì non ci ho pensato, me ne sono reso conto dopo. Il calcio “dei grandi” è difficile perché trovi avversari che non solo fanno del calcio il proprio mestiere, ma che hanno anche tanta esperienza persino in categorie superiori; per non dire anche della pressione del pubblico.
Nel primo anno tra i professionisti sei tra i protagonisti con 35 presenze, praticamente un titolare inamovibile. Che processo di crescita c’è stato e hai riscontrato?
È stata un’annata molto bella, ma anche molto particolare. Partita dopo partita impari tanto: tutti mi hanno sempre parlato dell’esperienza e non ci ho mai creduto più di tanto. Invece, mi sto rendendo conto che conta davvero soprattutto nella gestione delle partite.
Arriviamo all’attualità: l’Olbia in questo momento è quinta con 14 punti. È stata una settimana impegnativa con tre gare in una settimana. Cosa è successo contro la Robur Siena? Brucia ancora la sconfitta?
Brucia parecchio. Noi arrivavamo da una vittoria bella e sofferta a Piacenza contro la Pro e dal pareggio, forse un po’ scarno, con la Pistoiese. Col Siena siamo entrati in campo tranquilli perché la classifica è buona e il primo tempo abbiamo giocato molto concentrati. Nella ripresa, onestamente, siamo calati e, nonostante ci aspettassimo molto di più dal Siena, secondo me non ha brillato particolarmente. Abbiamo preso gol per colpa nostra nostra perché abbiamo sbagliato le marcature su un calcio d’angolo e la gara si è messa in salita. La prestazione c’è stata: bisogna accettare la sconfitta e ripartire subito col piede giusto.
Se l’anno scorso, da matricola, l’obiettivo era la salvezza, quest’anno cosa vi siete prefissati?
A dire il vero, l’anno scorso, a un certo punto della stagione, abbiamo avuto un periodaccio: non riuscivamo a dare continuità ed è stato molto triste. Quindi, l’obiettivo di quest’anno è quello di non ripetere gli stessi errori e di raggiungere la salvezza il prima possibile e con minore ansia. Se riusciamo in questo intento, i risultati arriveranno e anche la classifica potrà migliorare. Non vogliamo alzare la cresta, bisogna rimanere coi piedi per terra e lavorare partita dopo partita.
Nemmeno a farlo apposta, la prossima gara è ad Arezzo: una partita che l’anno scorso valse l’aritmetica salvezza e che vinceste per 1-0. Come state preparando questa sfida?
Sappiamo che l’Arezzo ha avuto un inizio difficile, considerata la qualità della rosa a disposizione. In ogni caso, è una squadra che punta in alto e sicuramente non prenderemo la sfida di domenica sottogamba perché hanno giocatori di livello come Moscardelli e Cutolo. Nelle ultime partite, inoltre, i toscani sono migliorati anche spronati dal cambio di allenatore.
Cosa sta apportando alla tua carriera il tecnico Mereu, in cosa ti sta spronando?
Mereu è un grande motivatore, oltre che un tecnico molto bravo dal punto di vista tecnico e tattico. Lavora su ognuno di noi e ci fa sentire tutti importanti, sia i cosiddetti titolari sia quelli che partono dalla panchina.
Tra le squadre del Girone A, quindi tra quelle incontrate fin qui, quale ti ha impressionato maggiormente e perché?
Sinceramente a me è piaciuto il Pisa: anche se siamo riusciti a vincere, la considero una delle favorite. Infatti, ha stentato a inizio campionato, ma adesso va come un treno. Un’altra squadra che mi è piaciuta molto è la Viterbese: una squadra che abbiamo incontrato anche in Coppa Italia: fa un bel gioco ed è molto propositiva.
E il giocatore più forte che ti sei ritrovato davanti?
L’anno scorso González dell’Alessandria: ha una marcia in più. Quest’anno, invece, direi Marotta della Robur Siena e Negro del Pisa. Apparentemente entrambi, a volte, giocano pochi palloni, ma quando lo fanno hanno i movimenti giusti e possono essere micidiali: si vede che hanno giocato in categorie superiori.
Quale ritieni sia stata la tua partita migliore o più bella con la maglia dell’Olbia?
Quella contro la Torres in Serie D perché ci ha avviato nel percorso tra i professionisti e quella contro l’Arezzo perché ci ha consentito di raggiungere la salvezza la scorsa stagione.
Quale ritieni sia il tuo punto forte?
La corsa e, in generale, la concentrazione e la dedizione nell’ascoltare le indicazioni del mister.
Quale il punto debole?
Devo migliorare tanto sui traversoni e, in generale, sulla tecnica.
So di un retroscena sul numero di maglia che indossi, ovvero il 23. Me lo racconti?
A me piace molto il basket, mio fratello mi ha trasmesso la passione per questo sport. Il 23 è dunque in onore di Michael Jordan. Inoltre il 23 rappresenta la mia famiglia in quanto due sono, ovviamente, i miei genitori e tre i figli.
A quali giocatori del passato e del presente ti ispiri?
Javier Zanetti per la grande umiltà, spirito di sacrificio e dedizione, Alex Sandro perché rappresenta in tutto e per tutto il terzino moderno capace di attaccare ma anche di difendere con la stessa caparbietà.
Sogno nel cassetto? Che maglia vorresti indossare un giorno?
Da piccolo ero del Milan, ma crescendo ho smesso di tifare. Adesso, essendo bresciano, seguo molto la squadra della mia città. In ogni caso, dico che seguirei un allenatore in particolare e in qualsiasi squadra: Jürgen Klopp. Adoro la sua filosofia di gioco e il personaggio molto sui generis.